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Anziani con scarsa istruzione, giovani colti in cerca di lavoro

LA RICERCA Per ogni apparente miglioramento esiste un’iniquità. L’insegnamento scaturisce dalla lettura di un’inchiesta Sisform (Osservatorio sul sistema formativo piemontese) curata da Ires, l’istituto per le ricerche economiche e sociali, che analizza un fattore cruciale per il vivere sociale: l’istruzione. Il primo elemento che affiora dall’indagine appena pubblicata è la discrepanza tra giovani e anziani. Tra gli over 75 solo il 16% è in possesso di un diploma d’istruzione superiore, ma l’andamento migliora con l’età: tra i 55-59enni uno su due ha il diploma o la qualifica professionale, mentre nella fascia dei 20-24enni possiede almeno un titolo di scuola superiore l’85% della popolazione. Tra giovani e anziani si capovolge dunque completamente il trend legato al bagaglio conoscitivo, ma non altrettanto accade per l’impegno occupazionale.

L’occupazione

Spiega la ricercatrice Ires Carla Nanni: «A metà del primo decennio del secolo un giovane su tre risultava al lavoro; con la crisi economica degli anni scorsi il tasso d’occupazione per i ragazzi con meno di 25 anni è sceso invece al di sotto del 20%».
È il paradosso odierno, che si affianca a un’altra storica inversione di tendenza: le giovani donne mostrano un livello d’istruzione ben più elevato rispetto ai coetanei (90,3% contro il 79,3).  Parlando della fascia giovanile globale, emerge peraltro come il livello d’istruzione generale in Piemonte (72,8% di ragazzi con almeno il titolo secondario) sia molto più basso rispetto alle statistiche europee (la media Ue tocca quasi il 90%: solo le nostre ragazze ci sono arrivate). Il divario di scolarità non è dunque colmato, l’educazione viaggia su binari diversi in terre adiacenti. Considerazione che s’aggrava se parliamo di titolo di studi terziario: il Piemonte, con il 26,4% di laureati nella fascia di età 30-34 anni, risulta lontano dall’obiettivo europeo del 40% entro il 2020.
Ogni pianta esiste grazie a un seme. Così il livello attuale d’istruzione dei piemontesi può essere spiegato osservando la storia pregressa. Secondo l’indagine Sisform-Ires all’inizio degli anni Ottanta nella regione solo cinque giovani su dieci frequentavano la scuola superiore, mentre nel Duemila erano 9 su 10. In vent’anni cioè è cambiato tutto. Nel gergo dei ricercatori è la “scolarizzazione di massa”. Spiegano all’Ires: «I maschi hanno tassi di scolarizzazione più bassi e performance scolastiche meno brillanti: bocciature più frequenti, maggior numero di ripetenti, ritardo più ampio e più frequente interruzione degli studi rispetto alle compagne».

Gli immigrati

L’altra differenza è etnica. In un periodo connotato da spinosi venti d’intolleranza e difficoltà d’integrazione, i numeri parlano: la partecipazione – il conseguimento del diploma ha percentuali inferiori – ai percorsi del secondo ciclo scolastico degli italiani è al 96%, 7 punti in più rispetto agli stranieri. Sono i maschi immigrati a presentare il tasso di scolarizzazione più basso: 85%, 11 punti in meno rispetto ai coetanei italiani.
Una nota di speranza colora, infine, il tema dell’abbandono scolastico (di cui parliamo nella pagina accanto), che diminuisce in Piemonte. Nel 2017 la quota si attestava all’11,3%, la metà circa rispetto al 2004, un risultato migliore rispetto alla media italiana, quasi in linea con la statistica europea. Anche qui però gli immigrati vengono penalizzati: nel 2017 in Italia un terzo dei 18-24enni stranieri con bassa scolarità risulta fuori da qualsiasi percorso di formazione, valore quasi triplo rispetto al 12,1% che si osserva per i giovani italiani.

Matteo Viberti

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