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Lettera al giornale. Cari politici, perché non aiutiamo “a casa loro” anche i nostri giovani costretti a emigrare in cerca di lavoro?

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Egregio direttore, la ringrazio per aver pubblicato il 17 settembre la lettera di risposta alle osservazioni del senatore Perosino. In essa mi sono dimenticato di scrivere di un’altra migrazione che, credo, interessi da vicino molte famiglie anche del nostro territorio: quella dei giovani.

Ho due figlie ed entrambe vivono e lavorano all’estero: una a Katowice in Polonia e un’altra a Londra in Inghilterra. Sono convinto che la mia non sia l’unica famiglia che, negli ultimi anni, ha visto emigrare i propri figli. È un fenomeno che è cominciato una decina di anni fa ed è continuato a crescere. Dicono che la generazione dei nostri figli è la prima che avrà un tenore di vita inferiore a quello dei propri padri e nonni ed è facile capire perché. Le statistiche ci dicono che la maggior parte di questi giovani è diplomata e laureata. La scelta per molti di loro di lasciare l’Italia non penso sia avvenuta per un colpo di testa ma dopo numerosi e vani tentativi di trovare un lavoro nel nostro Paese. Dopo aver inviato decine e decine di curricula, senza ottenere alcuna risposta, aver partecipato a diversi colloqui conclusi con un nulla di fatto, immagino che per qualcuno venga quasi spontaneo gettare la spugna e cercare un’alternativa all’estero. Sicuramente questi giovani non attraversano il mare su gommoni o barconi fatiscenti ma prendono voli di linea, sono comunque emigranti.

Tutti quelli che hanno deciso di partire non hanno trovato, nel Paese di arrivo, il lavoro che avrebbero desiderato. Non tutti infatti svolgono la professione consona al titolo di studio conseguito. Molti hanno accettato lavori più umili, nutrendo però la speranza che, col tempo, la loro situazione possa migliorare. Per tutti comunque avere un lavoro con un minimo di garanzie e che offra una piccola base economica rappresenta una grande opportunità per cercare di realizzare un progetto di vita, cosa che in Italia non per tutti è stato possibile.

Lasciare il proprio Paese non è sempre facile e costa fatica, ma se per quelli che restano l’unica possibilità è un lavoro per poche settimane o mesi, senza alcuna tutela sociale, è inevitabile che, pur non volendolo, devono rimanere nella famiglia di origine e farsi mantenere dallo stipendio dei genitori o dalla pensione dei nonni.

Se mi domando per quali motivi, colpevolmente, ci siamo dimenticati del futuro dei nostri figli, non riesco a trovare una risposta plausibile. Questa però è la realtà dei fatti. Non stupiamoci allora se non si formano nuove famiglie, se nascono sempre meno bambini e se il nostro indice di denatalità è tra i primi al mondo. Certo c’è una crisi iniziata da più di un decennio ormai e della quale non si vede la fine, ma ci sono state anche delle scelte politiche, sociali e sindacali che non hanno favorito l’inserimento dei giovani al lavoro e adesso sono proprio i giovani a pagarne le conseguenze.

Negli ultimi anni i Governi, di destra e di sinistra, hanno fatto poco per trovare delle soluzioni. Per questi giovani dovrebbe valere lo slogan “Aiutiamoli a casa loro”, ma aiutiamoli davvero, non con false promesse o belle parole. Se togliamo la speranza ai giovani alla fine tutto il Paese ne soffrirà. Se i giovani non possono neanche pensare a un progetto per il loro futuro, vuol dire che neanche per noi ci sarà un futuro. Questi giovani che lasciano l’Italia alla ricerca di un lavoro sono stati formati nelle nostre scuole e nelle nostre università. La loro partenza rappresenta per il nostro Paese una grave perdita culturale, oltre a determinare l’invecchiamento della popolazione.

Che fare? Molto più di quello che finora è stato fatto. Il lavoro per i giovani dovrebbe essere il primo punto all’ordine del giorno di un’agenda che veda coinvolti il Governo, le forze politiche, i sindacati e gli imprenditori. Non possiamo però delegare tutto a chi sta al vertice, aspettando che dall’alto arrivi magicamente la soluzione. Ognuno di noi deve sentirsi chiamato in causa e portare il proprio piccolo ma significativo contributo di idee, di proposte e progetti perché, come diceva don Milani, quando c’è un problema: «Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli l’avarizia».

Mario Bertani, Magliano Alfieri

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