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Una settimana di turbolenze nell’Unione europea

Il Consiglio europeo dei capi di stato e di governo del 17 e 18 ottobre aveva come contorno al tema caldo di Brexit quelli, solo a prima vista più tranquilli, sul futuro bilancio Ue, il programma strategico del prossimo ciclo istituzionale e il seguito da dare alle conclusioni Onu sull’emergenza climatica. La sorpresa dell’ultimo minuto di Brexit e l’irruzione della guerra della Turchia contro i curdi ne hanno mutato il contesto, aggiungendovi un problema molto serio sulle prospettive della nuova Commissione con la bocciatura della candidata francese, Sylvie Goulard, e annunciando ulteriori grane in provenienza dalle turbolenze in Catalogna.

A Bruxelles la buona notizia era sembrato l’accordo raggiunto tra Ue e Regno Unito sulla Brexit, la cattiva è che la soluzione trovata è sembrata subito poco chiara e molto fragile. Per i prossimi quattro anni la “frontiera” non verrà ristabilita orizzontalmente tra le due Irlande, ma correrà verticale nel mare che divide entrambe dal Regno (ancora) Unito. L’Irlanda del nord rimarrà sostanzialmente nel mercato unico europeo per almeno quattro anni, il controllo delle merci sarà fatto a distanza dalla terraferma irlandese e poi si vedrà. Il rischio è che un simile aggiustamento possa indurre nel tempo la tentazione di una fusione tra le due Irlande, dando brutte idee anche alla Scozia che ha già annunciato un nuovo referendum per l’indipendenza l’anno prossimo.

Questo il prezzo pagato, insieme a tanti altri, a una brutta storia che dura da oltre tre anni, da quel giugno 2016 quando un irresponsabile David Cameron, per mantenersi a capo del partito conservatore, mandò al massacro il Regno (ancora) Unito con l’azzardato referendum che sappiamo. Con l’occasione venne massacrato anche il partito conservatore, la povera Theresa May e, grazie al suo successore Boris Johnson, anche il Parlamento della più antica democrazia del mondo. Che sabato 19 ottobre si è espresso, tra mille contraddizioni, con un voto che corrisponde a un ennesimo rinvio della decisione britannica, con il rischio che la data del 31 ottobre prevista per l’uscita dall’Ue venga ancora una volta rimandata, provocando una crescente irritazione tra i ventisette che intanto restano ancora ventotto.

Tutt’altra storia quella della bocciatura della candidata francese, Sylvie Goulard, a un portafoglio importante della Commissione europea, ma certo non banale per la sua valenza politica visto lo schiaffo del Parlamento europeo al presidente francese Emmanuel Macron e la buccia di banana alla presidente Ursula von der Leyen, che deve adesso mettere insieme i cocci e cercare di correre ai ripari, ritardando il suo insediamento a dicembre sempre che le tensioni in corso, all’interno del Parlamento europeo e di questo con il Consiglio dei governi Ue, non mettano a rischio il consenso alla nuova Commissione.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Per farla breve, a Strasburgo sta andando in scena un regolamento di conti: una parte consistente della maggioranza parlamentare ha, con il contributo dell’opposizione, colto l’occasione delle ombre che pesavano sulla candidata Goulard per impallinare i suoi due sponsor, Macron e von der Leyen. Il primo per aver disatteso le richieste del Parlamento per la presidenza della Commissione e la seconda per averne tratto beneficio con la sua nomina, sottratta allo stesso Parlamento e già pagata con un risicato sostegno alla sua conferma. Questo è il vero problema serio per la nuova Commissione che potrebbe anche non ottenere dal Parlamento il consenso necessario per la sua entrata in funzione, con un impatto pesante sulle attività Ue, esposte al rischio di una crisi istituzionale in una congiuntura geopolitica particolarmente delicata, dove incombono Erdogan da una parte e Trump e dall’altra. L’annunciata “presunta tregua” nella guerra ai curdi ha tolto momentaneamente dall’imbarazzo il Consiglio europeo, diviso come al solito sulle misure da prendere nel quadro di un’inesistente politica estera comune, per non parlare di quella migratoria, sempre al di là da venire, mentre cresce la minaccia del ricatto di Erdogan a proposito dei profughi siriani “parcheggiati” in Turchia, a spese di una miope Unione Europea.

Franco Chittolina

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