Abbonamenti pirata a pay Tv la Finanza denuncia 223 clienti

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DIGITALE Le partite di calcio su Sky e Dazn, le serie tv su Netflix, i film su Mediaset premium e perfino la musica su Spotify, il tutto a un costo medio di 10 euro al mese. Per la prima volta in Italia, nella guerra alle pay Tv illegali, a pagare sono direttamente i clienti e non più, e non solo, le organizzazioni che gestiscono le piattaforme pirata. La Guardia di finanza ne ha denunciati 223 per ricettazione e per violazione della legge sul diritto d’autore. Rischiano fino a otto anni di carcere, una multa di 25mila euro e la confisca dello strumento utilizzato per vedere i contenuti in streaming: che sia un Pc, una smart Tv o uno smartphone.

«È una svolta epocale nella lotta alla pirateria, finalmente chi sbaglia paga», ha commentato l’amministratore delegato della Lega di Serie A Luigi De Siervo sulla stessa scia del presidente dell’Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive multimediali) Francesco Rutelli, che parla di «un’operazione senza precedenti». L’indagine del Nucleo speciale beni e servizi delle Fiamme gialle riguarda tutta Italia: le denunce hanno portato all’apertura di fascicoli in ben 67 Procure sparse in tutte le regioni, a eccezione della Valle d’Aosta.

Già a settembre dell’anno scorso la Procura di Napoli aveva chiuso un’indagine con al centro la piattaforma streaming Xtreams Codes, un colosso internazionale con ricavi illegali per circa 60 milioni l’anno e 5 milioni di potenziali clienti, che però non erano ancora stati individuati al momento del blitz. In questo caso, invece, i finanzieri sono riusciti dagli Ip e dalle informazioni fornite dagli stessi clienti (oltre ai dati anagrafici anche quelli relativi alle carte di credito utilizzate per i pagamenti) a individuare 223 soggetti fisici, che sono stati appunto denunciati.

«Acquistando questi abbonamenti», dicono i finanzieri, «i clienti non solo alimentano il circuito criminale, ma condividono con le organizzazioni i propri dati personali e bancari, esponendosi a rischi informatici di ogni tipo». E l’inchiesta è tutt’altro che chiusa: non solo sono ancora in corso gli accertamenti per individuare la centrale di trasmissione del segnale illegale, ma la Gdf ha già a disposizione i dati di almeno 800 soggetti che potenzialmente hanno utilizzato le pay Tv pirata.
I clienti, spiegano gli uomini della Guardia di finanza, venivano agganciati attraverso siti vetrina, canali Telegram e gruppi chiusi su Facebook dai rivenditori del segnale illegale diffuso da chi lo origina: lì avveniva il primo contatto e venivano date indicazioni su come proseguire per poter fare l’abbonamento.
Non solo. Gli accertamenti tecnici hanno anche portato alla luce un nuovo metodo utilizzato dalle organizzazioni che gestiscono le piattaforme pirata.

Prima c’era il cosiddetto pezzotto: al cliente, in sostanza, veniva fornito un apparecchio per poter decodificare il segnale criptato. Oggi, invece, basta una semplice stringa di un codice che viene inviata attraverso WhatsApp per poter accedere ai programmi. Il segnale viene diffuso via Iptv (Internet protocol television), un sistema che è perfettamente legale: la differenza sta nel fatto che le piattaforme pirata, dopo aver acquisito con regolari abbonamenti i palinsesti televisivi delle pay Tv ufficiali, ricodificano il segnale assemblando i flussi dei singoli canali in un unico file, che è poi quello che riceve il cliente finale. In sostanza, il segnale viene “incapsulato” in un unico flusso dati e distribuito attraverso la Rete.

Ansa

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