Il piano dell’Unione europea per la ripresa

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

Sorprese poche o nessuna al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo del 23 aprile scorso. I compromessi, maturati in seno all’Eurogruppo dei ministri finanziari, con le proposte della Commissione e con gli intensi scambi tra le cancellerie europee, sono diventati decisioni operative attivabili in tempi brevi.

Si tratta dell’approvazione del nuovo Meccanismo europeo di stabilità (Mes), con condizionalità alleggerite al massimo; del progetto Sure, per un supporto temporaneo a interventi di Cassa integrazione europea e della dotazione che consente alla Banca europea degli investimenti di finanziare le imprese europee. Il tutto per un totale di prestiti, rapidamente disponibili, di 540 miliardi di euro, cui va aggiunto il contributo prezioso della Banca centrale europea impegnatasi ad acquistare attorno a mille miliardi di euro di titoli pubblici nazionali (il 22% nel caso dell’Italia), compresi i cosiddetti “titoli spazzatura”, un’apertura che può contribuire in particolare a mettere in sicurezza i conti pubblici italiani, aggravati da un debito che sta impennandosi verso il 150% del nostro Prodotto interno lordo.

Neanche il piano per la ripresa, sostenuto da Francia, Italia e Spagna, ha riservato troppe sorprese: in positivo, perché la proposta ha ottenuto come sperato un unanime accordo di principio; in negativo, perché i nodi concreti del suo funzionamento non sono stati sciolti ed è su questo versante che bisognerebbe riuscire a vederci chiaro: su quale ne sia la sua collocazione istituzionale, la sua dotazione finanziaria e la sua alimentazione, la natura dei suoi interventi, se prestiti o trasferimenti a fondo perduto e, non ultimo per importanza, i suoi tempi di attivazione.

Non manca per sciogliere questi nodi qualche prima indicazione da cui partire per seguirne gli sviluppi futuri, per i quali un chiarimento è atteso entro giugno e la traduzione in interventi concreti entro l’anno.

È stato dato mandato alla Commissione europea di produrre entro maggio – ma già un primo schema è atteso per mercoledì 6 – un progetto operativo del piano per la ripresa, confermandola così nel suo naturale ruolo di motore del processo di integrazione e chiedendole di cercare una soluzione nel quadro del nuovo bilancio 2021-2027. Con almeno due conseguenze istituzionali importanti: la scelta di una ripresa della dinamica comunitaria (nella Commissione si vota a maggioranza, nel Consiglio europeo all’unanimità) rispetto a quella intergovernativa (come nel caso del Mes) e quindi del coinvolgimento nell’operazione del Parlamento europeo, autorità di bilancio insieme con il Consiglio dei ministri.

Quanto alla futura dotazione finanziaria del piano per la ripresa c’è la consapevolezza della necessità di risorse importanti, fino all’auspicato raddoppio del bilancio 2021-2027 rispetto a quello del 2014-2020, con un suo impiego rafforzato nei prossimi due anni. Su questo versante resta la resistenza a allargare i cordoni della borsa da parte dei Paesi del Nord, mentre si è allentata quella della Germania e permane il dissenso sulla natura degli interventi, se supporti a garanzia di titoli pubblici europei di debito (e qui non siamo lontano dai “mitici” eurobond) o sussidi con trasferimenti a fondo perduto e con quale futura destinazione differenziata, a seconda delle asimmetriche perdite economiche dei diversi Paesi e dei loro settori produttivi.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

La risposta a queste diverse opzioni impatterà fortemente sulle dimensioni future dei debiti pubblici nazionali e la loro sostenibilità a termine, con rischi di default nazionali ma anche per l’euro, e sull’aggravamento di distorsioni nel mercato unico e della coesione economica e sociale.

Si tratta di nodi difficili da sciogliere, come quello forse almeno altrettanto decisivo dei tempi, tecnici e politici, necessari per l’attivazione concreta del piano. I Paesi più in difficoltà non possono aspettare il 2021 e puntano a un bilancio-ponte attivabile nel secondo semestre di quest’anno, quando la presidenza di turno dell’Ue toccherà alla Germania: una buona notizia, se Angela Merkel vorrà metterci del suo, come è sembrata disposta a fare in questi ultimi giorni.

Franco Chittolina

Banner Gazzetta d'Alba