CARRÙ È salita alla ribalta della cronaca per un articolo di fine aprile. La storia di una giovane ristoratrice di Carrù, che a causa dell’emergenza sanitaria è stata costretta a fermare la sua attività ma si è detta pronta, in attesa di poter riaprire a fare esperienza a raccogliere frutta. È Silvia Facello, salita anche alle cronache per aver prodotto un sushi, made in Carrù e dintorni cucinato utilizzando il riso di Bra.
Una giovane appassionata della sua terra, dei suoi prodotti, degli insegnamenti trasmessi dal padre, di vino e prodotti enogastronomici, con le idee chiare e piena di iniziativa. Si definisce «una ragazza di campagna con tanti interessi e stimoli, incuriosita dal mondo della ristorazione, della decorazione degli ambienti, dell’ ospitalità, del turismo, delle cose che secondo me fanno star bene le persone, le coccole». Sta preparando anche una sua autobiografia e dice: «Non so se la pubblicherò, intanto però la scrivo, mi aiuta una scrittrice di Cuneo».
Con lei abbiamo voluto conversare per capire cosa succede quando si ferma e si ferma l’attività che ti sostenta. Tutto è perso?
«Come ha detto un amico sacerdote, nella vita, come nella Chiesa la cosa più brutta è dire: abbiamo sempre fatto così! A volte i cambiamenti come gli stop sono degli incentivi a fare ancora meglio».
L’inizio nell’avventura dell’enogastronomia è stato importante: «Papà mi fece fare istituto alberghiero a Mondovì per imparare una professione a me interessava, io avrei tanto voluto fare cucina, la sua preoccupazione era che d’ estate ai fornelli non resistessi, allora ok per sala bar, ma la mia passione la cucina iniziai 1991. È da lì iniziai fare stagioni estive e servizi nel fine settimana. Il ristorante che mi ha trasmesso di più è il Bel sit di la Morra con a capo Franco Nervo dove ora c’ è Bovio».
In questo contesto dove ci sono più nubi che sereno per la ripresa del settore dell’enogastronomia e del turismo la cosa che si deve fare è «rimanere legati alle nostre tradizioni, alle nostre radici , ma evolviamo le nostre conoscenze , i nostri pensieri e i nostri orizzonti. Impariamo a coniugare le cose, è un’ arma vincente. Impariamo la sinergia».
Ha anche un sogno nel cassetto proprio per un incontro fatto qualche tempo fa con dei giapponesi ai quali ha fatto assaggiare il suo Carrushi: «Il Giappone, vorrei gemellare i nostri prodotti con i loro. Io ambisco a Kobe per il bue» e intanto sta per candidarsi alle elezioni comunali per dare un contributo alla sua comunità, magari con una delega al turismo. Per concludere, tanto per non discostarci dal discorso enogastronomico, una domanda particolare. Se dovessi definirti o paragonarti a un vino quale sceglieresti e perché: «Un vino semplice, quotidiano, ma determinato un vino del mio paese natale. Io sono un Dogliani superiore Docg affinato in legno».
Lino Ferrero