Bra, 10 giugno 1940: parte la pugnalata alla schiena della Francia

Bra, 10 giugno 1940: parte la pugnalata alla schiena della Francia

GUERRA Il 10 giugno di 80 anni fa, dal balcone di piazza Venezia a Roma davanti a una folla osannante, inquadrata dalle gerarchie fasciste (altrettanto si fece in tutto il paese in adunanze o nei circoli davanti alla radio) alle 18 Benito Mussolini annuncia al popolo italiano: «Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia». La guerra sta iscritta nel Dna del fascismo: prima del 10 giugno c’erano state la “riconquista” della Libia, l’invasione dell’Etiopia, l’intervento in Spagna a sostegno di Francisco Franco, l’occupazione dell’Albania, tutte imprese in cui l’Italia aveva consumato gran parte delle sue risorse belliche.
Nell’estate del 1939 la situazione in Europa precipita. Hitler invade la Polonia. Mussolini, da alleato subalterno e invidioso, decide che anche l’Italia deve prepararsi alla guerra. Il 29 agosto viene costituito a Bra il Comando gruppo armate ovest, agli ordini del principe Umberto di Savoia e come capo di stato maggiore il generale Emilio Battisti, in seguito comandante della divisione alpina Cuneense in Grecia e in Russia, dove finirà prigioniero.

Perché Bra?

Perché per un compito così impegnativo viene scelta Bra? La città è idealmente al centro del cerchio descritto dalle Alpi da Aosta fino al mare ed è un nodo ferroviario, allora collegato con tutti i punti cardinali e non soffocato da un addensamento urbano, come magari Torino. E poi è una città ricca di caserme; Umberto di Savoia può trovare ristoro alle fatiche campali negli ambienti bucolici delle proprietà di famiglia a Pollenzo o a Racconigi e non restarsene nei tetri bunker di villa Pellicciotti e San Matteo.
Del gruppo di armate, la cui funzione è di preparare una guerra «difensiva contro la Francia», fanno parte la 1ª e la 4ª, al comando dei generali Pietro Pintor e Alfredo Guzzoni, alle quali si aggiungeranno all’inizio del ’40 parte della 6ª e corpi isolati. A Bra, poiché le caserme Umberto I, Pellizzari, Guala e Cavalli sono fin dal dicembre 1934 occupate dalla Scuola allievi ufficiali di artiglieria e poiché il Presidio si è sistemato nella chiesa dei Cappuccini e nel molino Testa di via Cuneo, il Comune, tra la fine del ’39 e l’inizio del ’40, deve affannosamente cercare altri spazi: l’ex conceria Fortino in via Piumati, ora proprietà dei Boglione, o la distilleria Bianchi di corso IV novembre, in liquidazione dopo la morte del suo fondatore, destinata questa al Comando del 2° raggruppamento automobilistico di Alessandria. Lo stato maggiore prende invece posto su un treno speciale che si sposta per non essere individuato fra le stazioni di Bra e Macellai, fermandosi spesso in una zona allora coperta di boschi.

Difesa manovrata

Le due armate devono attenersi al piano Pr 12 del 1938, che anche nella nuova edizione parla di «difesa manovrata». Ipotizzare una guerra offensiva sarebbe una follia per l’inferiorità tecnologica del Regio esercito e l’asimmetria del territorio. L’orografia giova a favore della Francia: dal Monviso alla pianura ci sono venti chilometri, mentre la valle del Rodano ne dista un centinaio, con catene montagnose. Attaccare la Francia dalle Alpi – per dirla con von Clausewitz – è lo stesso che pretendere di sollevare un fucile afferrandolo dalla punta della baionetta.
Hitler, dopo aver inghiottito la Polonia, si getta su Danimarca e Norvegia. I francesi si illudono che il nazismo non oserà scagliarsi contro la inespugnabile linea Maginot lungo il Reno; sul fronte alpino, convinti che mai e poi mai Mussolini si muoverà senza l’appoggio germanico, lasciano una sola divisione e le efficienti Séctions éclaireurs skieurs o Ses (unità di esploratori-sciatori). Anche Mussolini e Badoglio fra novembre e dicembre congedano i battaglioni alpini Valle e allontanano le due armate dalla fascia pedemontana.

La confusione regna sovrana

Il 10 maggio 1940 il piano Pr 12 viene precipitosamente riportato in vigore. Prima e 4ª armata riprendono posizione. Il settore Po-Stura-Maira tocca alla 1ª del generale Pietro Pintor; le valli sono competenza del 2° Raggruppamento alpino del generale Paolo Berardi. Hitler preme perché l’Italia passi all’attacco. Badoglio e altri sono perplessi: non è neppure scattata la mobilitazione generale.
La confusione regna sovrana. I comandi delle armate a Bra apprendono la notizia che la guerra è cominciata solo sul far della notte del 10 giugno, non da telegrammi (il telegrafo volante in mezzo ai boschi di Fey e Macellai funziona male), ma da Rodolfo Graziani, comandante di stato maggiore dell’Esercito che il giorno prima ha concordato la strategia con Badoglio e i capi delle altre due armi, per poi precipitarsi nel Braidese.

Ordini e contrordini

I francesi fanno saltare tutte le vie di comunicazione e dopo due giorni di temporeggiamento passano all’azione: bombardano Torino, con l’aiuto della Raf, e Cuneo, fanno qualche incursione navale nel Mar Ligure. Il treno comando rimane ben nascosto tra i boschi di Pocapaglia. Ma il 16 giugno il primo ministro francese Reynaud lascia il posto al maresciallo Pétain, dalle non celate simpatie filotedesche. Mussolini teme che la guerra finisca troppo presto e dà l’ordine di passare all’offensiva. Alle 17 del 18 giugno il generale Roatta, sottocapo di stato maggiore, manda l’ordine di incalzare il nemico; alle 18.33 spedisce un telegramma perché le operazioni siano sospese. Mussolini è stato invitato in Germania: pensa di poter partecipare alla spartizione del bottino senza pagare pegno, ma da Monaco torna senza aver ottenuto nulla. Roatta telegrafa a Battisti: «Riprendere immediatamente piccole azioni offensive su tutta la fronte alpina». Quella notte, 19 giugno, si scatena il maltempo: neve e pioggia proseguono nei giorni successivi e gli italiani sono saliti in montagna con l’equipaggiamento estivo. Il 23 giugno tra inenarrabili difficoltà, ma senza incontrare resistenza, neppure da parte delle imprevedibili Ses, il Val Chiese passa il Colle delle Traversette, a La Montà una pattuglia entra in contatto con il 3° alpini. Il 5° Gruppo alpini dalla Val Varaita riesce grazie alla nebbia a scendere nella Valle dell’Ubaye fino al lago del Paroird.

Alto il prezzo di caduti e congelati

Sulla direttrice principale del Colle della Maddalena la divisione Livorno penetra in Val Tinée, ma senza riuscire a entrare in Isola; gli Alpini della Pusteria sono arrivati al lago di Lauzanier; la Acqui lambisce Larche, ma la sua colonna centrale non va oltre Maison Méane. Mentone è bombardata per quattro giorni di seguito (2.800 case distrutte), ma non può considerarsi occupata. Alle ore 1.30 del 25 giugno giunge il dispaccio del cessate il fuoco: Mussolini aveva promesso a Hitler la conquista di Chambéry e Grenoble, le truppe italiane non sono arrivate nemmeno a Modane, né sono stati raggiunti i primi paesi del Queyras Abriès e Ristolas. Ma il bilancio di sangue è pesante per l’Italia: i morti sono 642, a cui vanno aggiunti 616 dispersi (dunque 1.258 caduti per pochi giorni di guerra), 2.631 i feriti, 2.151 i congelati. I francesi accusano venti morti e 84 feriti.

Livio Berardo

Banner Gazzetta d'Alba