PENSIERO PER DOMENICA – XXVIII TEMPO ORDINARIO – 11 OTTOBRE
Stiamo sperimentando e facendo i conti con la fatica di ripartire dopo lo choc del Covid-19, che ci ha lasciati – quasi tutti! – più poveri, più soli perché diffidenti anche di fronte alle persone che incontriamo, più timorosi di fronte a un domani dai contorni incerti. Le letture della XXVIII domenica aprono spiragli di speranza, prospettando un nuovo modo di vedere il mondo, la Chiesa e l’uomo.
Il sogno di pace di Dio. Come ci ricorda Isaia (25,6-10) il progetto di Dio è un sogno di pace, di concordia tra le nazioni, di condivisione festosa dei beni del creato. Purtroppo è un sogno a cui non crede quasi più nessuno: addirittura le Nazioni unite, lo strumento di pace di cui l’umanità si è dotata dopo la Seconda guerra mondiale, da impotenti sono diventate ultimamente afone, incapaci non solo di promuovere la pace, ma addirittura di invocarla! L’unica voce fuori dal coro è quella di papa Francesco, che non si stanca di promuovere la fraternità e la concordia tra le nazioni. Come credenti siamo chiamati a essere, nel nostro ambito, eco delle promesse di Dio e del sogno del Papa.
Il sogno di un regno aperto a tutti. La parabola evangelica degli invitati alle nozze che declinano l’invito (Mt 22,1-14) è una pagina che apre il cuore alla speranza, nonostante il finale inquietante. Ai suoi interlocutori che si ritenevano se non gli unici certo i primi invitati al banchetto regale, Gesù prospetta l’amara realtà del rifiuto che si sta materializzando sotto i suoi occhi: essi sono sempre più sordi e indifferenti al Vangelo di salvezza che lui sta annunciando. Le preoccupazioni materiali sono al centro dei loro interessi. Il loro posto verrà occupato da altri, “buoni e cattivi”, a una condizione: che accettino di indossare l’abito nuziale, che veniva donato gratis a tutti gli invitati: un chiaro simbolo del dono gratuito di salvezza per tutti.
Il sogno di una vita nuova, nel segno della solidarietà e della fede, emerge dalle parole di Paolo ai Filippesi (4,12-20). L’apostolo, ringrazia per l’aiuto materiale che ha ricevuto: un aiuto che non disdegna affatto. Il discepolo non vive d’aria, anche se deve essere «iniziato a tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza». La fede in Cristo che è il fondamento della vita, al punto che «tutto posso in colui che mi dà forza», non esclude, semmai implica la solidarietà: «Avete fatto bene a prendere parte alla mia tribolazione». Solidarietà e fede sono l’inizio d’una vita nuova.
Lidia e Battista Galvagno