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L’Unione europea per il futuro del pianeta

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo

BRUXELLES Sarà bene non esaurire tutta l’attenzione a quanto accade sul fronte ancora caldo della pandemia, anche perché altri fronti caldi non mancano nel mondo e in Europa.

Nel mondo molti sono i conflitti irrisolti e altri si preparano, come in Asia e in Africa, e laboriosi sono i tentativi di raffreddare le tensioni nel Mediterraneo, ai confini dell’Unione europea, dalla Turchia alla Libia, ma anche in Irlanda del Nord e in Ucraina.

Al di là della lotta alla pandemia l’Unione europea è impegnata a contrastare le difficoltà economiche e finanziarie dei suoi Paesi membri, affidandosi in particolare al Recovery fund, adesso che la Corte costituzionale tedesca ha eliminato una prima ipoteca sull’approvazione già data dal Parlamento federale, in attesa che una decina di altri Paesi portino a termine le ratifiche parlamentari e tutti presentino a fine mese le loro proposte operative.

In questo contesto, mercoledì scorso un accordo importante è intervenuto nell’Ue in materia di lotta per la salvaguardia del clima, non a caso alla vigilia dell’incontro promosso sul tema da Joe Biden, con la partecipazione dei principali attori economici mondiali. L’accordo europeo, dopo un confronto non facile, riprende una proposta della Commissione sulla quale hanno trovato un’intesa Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue.

Si tratta per ora di una proposta, destinata a diventare legge europea, che vincola alla scadenza del 2030 l’obiettivo di una riduzione del 55% delle emissioni CO2 per potere onorare l’impegno a raggiungere nel 2050 l’azzeramento di tali emissioni e arginare i pericoli che corre il pianeta.

L’intesa raggiunta non ha accontentato tutti e non sarà facile da portare a compimento, per almeno due buone ragioni. Da una parte perché l’ambiente non ha confini e molto delle politiche da attivare dovranno fare i conti con grandi inquinatori mondiali come, tra gli altri, Usa, Cina, India e Russia, senza contare come sarà salvaguardato l’ambiente nelle future politiche di sviluppo economico in Paesi chiamati a un’inedita fase di industrializzazione. Dall’altra perché la materia vede l’Ue divisa al proprio interno, con Paesi in difficoltà a rispettare le scadenze fissate, vista la loro forte  dipendenza dalle energie fossili, il carbone in particolare.

A questa svolta hanno contribuito in misura determinante l’adozione dell’accordo di Parigi sul clima del 2015, la spinta propulsiva della nuova Commissione europea sotto la guida di Ursula von der Leyen e il ritorno in gioco degli Usa di Joe Biden, dopo la fuoruscita americana dall’accordo di Parigi a opera di Donald Trump, senza dimenticare le crescenti mobilitazioni popolari con la partecipazione di Greta e gli straordinari stimoli dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, sollecitazioni progressivamente riprese da molti attori politici nel mondo.

In questo contesto, convergono con pesi diversi, l’intesa raggiunta dall’Unione europea, più ambiziosa ancora di un recente passato, l’iniziativa di Joe Biden di convocare il tavolo di una quarantina di Paesi “inquinatori” e, più localmente, la designazione alla cancelleria di Berlino di una giovane leader dei verdi tedeschi, da tutti attesa alla prova delle elezioni del prossimo settembre.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Si tratta di segnali incoraggianti, ma che non devono alimentare illusioni. Gli Usa si sono impegnati a ridurre i gas serra del 52% alla scadenza del 2030, la Cina di altrettanto ma per il 2040 e Putin vi è visto costretto ad allinearsi, ma senza assumere impegni precisi, come hanno fatto anche molti altri. Possiamo essere fieri che l’impegno più ambizioso lo abbia preso l’Ue con la riduzione del 55%, considerato eccessivo da alcuni Paesi membri e insufficiente per molti ambientalisti che puntavano al 65%.

Adesso, dopo gli impegni solenni, viene il momento della verità, attenti all’esortazione del drammaturgo norvegese, Erik Ibsen, a «non usare la parola straniera ideali. Abbiamo nella nostra lingua l’eccellente termine bugie». Non c’è più tempo per astuzie dilatorie, in gioco è la nostra vita, insieme con quella del Pianeta.

Franco Chittolina

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