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Decreto flussi: in arrivo 70mila lavoratori in un mondo poco ospitale

Decreto flussi: in arrivo 70mila lavoratori in un mondo poco ospitale
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IMMIGRAZIONE A fine dicembre il premier Mario Draghi ha firmato il decreto flussi, manovra che aprirà le porte del Paese a circa 70mila lavoratori stranieri, che potranno dunque essere assunti in modo legale. Da una parte il provvedimento vuole contrastare l’immigrazione illegale e rappresenterebbe un’opportunità per le imprese, visto che la manodopera risulta carente in molti settori essenziali alla vita collettiva. D’altra parte il decreto prevede l’obbligo per il lavoratore “migrante” di trovarsi in patria al momento della chiamata, pena l’esclusione dall’ammissione nel Paese. Questa clausola non consente quindi a chi già si trova entro i confini di partecipare alla facilitazione.

La scorsa settimana monsignor Gian Carlo Perego, presidente della fondazione Migrantes, è intervenuto: «Il nuovo decreto raddoppia finalmente le quote d’ingresso legale, ferme allo stesso numero da cinque anni». E ha aggiunto: «Come tutte le categorie imprenditoriali hanno rilevato, le quote previste dalle nuove norme non saranno ancora sufficienti a far fronte alle richieste crescenti: anziani in casa, edilizia, lavori agricoli, eccetera. Purtroppo le nuove quote non ridurranno l’ingresso illegale in Italia e il lavoro nero. Per cambiare direzione occorre mettere in campo un cambiamento legislativo in ambito migratorio, che faccia incontrare domanda e offerta lavoro».

Dal punto di vista numerico lo scorso anno il decreto flussi aveva consentito l’ingresso a 30mila lavoratori, quest’anno dunque si assiste a un’inversione di rotta. Ma il mercato del lavoro non può essere valutato in termini esclusivamente quantitativi. In Regione ad esempio l’istituto di ricerca Ires Piemonte, in un rapporto dal titolo Inclusione e vulnerabilità pubblicato nel 2020, osserva come la precarietà risulti dilagante: il 15% delle persone ha un contratto a termine, e la provincia di Cuneo risulti la peggiore su questo fronte registrando un 16,7%. I lavoratori assunti con questa tipologia contrattuale soffrono di estrema incertezza e scarso potere negoziale con i datori per ottenere migliori condizioni. Inoltre, si innesca una sorta di “selezione darwiniana” che tende a eliminare chi non riesce a mantenere performance elevate e adattabili.

In un mercato sempre più incerto e dai bisogni mutevoli, spiegano i ricercatori, «la disponibilità alla flessibilità professionale e la capacità di adattamento chiamano in causa le qualità personali del soggetto più delle competenze specifiche, relative alla mansione svolta. Coloro che sono dotati di competenze sociali e relazionali, e che sono in grado di declinare la flessibilità in modo che favorisca il moltiplicarsi di opportunità lavorative, ne sono evidentemente agevolati. Ma per altri potrebbe significare perdita di protezione collettiva, frammentazione delle mansioni, fino all’impossibilità di sapersi convertire in nuove professioni, a seconda del’evoluzione della domanda del mercato». I lavoratori in arrivo col decreto flussi – sovente vulnerabili e in stato di necessità economica o sociale – dovranno confrontarsi con questa realtà, non certo “ospitale” ma che rischia di collocarli in una posizione di fragilità sociale e occupazionale pericolosa.

Matteo Viberti

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