IL FILM L’Italia è stata protagonista a Cannes anche con Le otto montagne, il film tratto dal romanzo premio Strega di Paolo Cognetti, coprodotto da società italiane e fiamminghe e diretto da una coppia di registi anch’essi fiamminghi, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (lui, per chi lo ricorda, fu ospite tanti anni fa dell’Alba film festival con uno dei suoi primi film, With friends like these).
Girato tra la Valle d’Aosta e il Piemonte, tra le cime, le valli e i laghi di Brusson e Graines e in parte anche a Torino (oltre diverse sequenze finali ambientate in Nepal), il film è la storia dell’amicizia fra Pietro e Bruno, il primo ragazzo di città, figlio di un ingegnere e una maestra, il secondo ragazzo di montagna mandato prima a lavorare negli alpeggi e poi come muratore, insieme per tutte le estati della loro infanzia nel corso degli anni ’80, poi separati durante l’adolescenza e infine ancora insieme in età adulta, interpretati da Luca Marinelli (foto, già protagonista di Una questione privata dei Taviani) e Alessandro Borghi. Sono uniti da un legame fraterno più forte delle crisi esistenziali di entrambi, dell’incapacità di Pietro di trovare una propria strada e dalla consapevolezza di Bruno di saper fare una cosa soltanto nella vita, e cioè vivere solo tra le montagne, nella durezza di un mondo dove la natura dà molto ma è anche capace di togliere tutto.
Le montagne della Valle d’Aosta, maestose e per chi le conosce tanto soffocanti quanto protettive, fanno da cornice a quasi tutto il racconto, ma la regia non indugia nella bellezza del paesaggio, ma preferisce metterla in relazione ai sentimenti dei personaggi, innamorati della vita in alta quota ma consapevoli dell’impossibilità di programmarvi un futuro. Il romanzo di Paolo Cognetti trova così una trasposizione fedele e sobria, calata nel tono malinconico e rassegnato delle pagine.
Roberto Manassero
