
VIAGGIO NEI SECOLI Scendere nell’area archeologica del Museo diocesano di Alba, tre metri sotto il pavimento della cattedrale di San Lorenzo, è un po’ come partire su una macchina del tempo. Si torna indietro ad Alba Pompeia, al periodo paleocristiano e poi romanico, tra resti di basiliche e di costruzioni civili, sepolture e pavimenti a scacchi di marmo. Tutto a distanza di pochi centimetri: sono le pietre, i cocci, i frammenti e persino la terra a raccontare le diverse epoche, in una stratificazione che va conservata e preservata dallo scorrere del tempo. È per questo che, a quindici anni dagli scavi che hanno portato alla luce il sito e a dieci anni dall’apertura del Mudi, dalla scorsa settimana si lavora in una delle aree archeologiche, dove è in corso un intervento di restauro conservativo e di consolidamento.
Così spiega Silvia Gallarato, direttrice del museo: «I restauri, possibili grazie al sostegno della fondazione Crc, sono concentrati in un’area di grande interesse storico, dove la stratificazione è particolarmente evidente. C’era bisogno di un intervento di questo tipo: il clima interno e la presenza stessa dei visitatori vanno ad alterare un equilibrio di per sé molto fragile. Oltre a quest’area, ne rimangono altre tre da restaurare: è un percorso in divenire, che purtroppo dipende anche dalla disponibilità dei fondi». L’incarico è stato affidato alla Bottegaccia restauri di Alba, che ha già lavorato negli altri punti. Enrico Dellapiana è uno dei restauratori: «Stiamo lavorando nella zona della prima chiesa paleocristiana, risalente al sesto secolo. Si vedono i resti di alcune mura, orientate in direzione Est-Ovest, com’era tipico dell’epoca». La particolarità dello scavo è la presenza di una tomba antropomorfa, che segue le fattezze del corpo umano. «All’epoca era raro l’utilizzo di casse lignee: il defunto veniva deposto direttamente nella tomba e spesso riparato da una copertura a capanna o piana, per poi coprire il tutto con la terra. Come le altre duecento tombe trovate sotto alla cattedrale, non ci sono indicazioni che ci aiutino a ricostruire l’identità della persona». Ma ciò che è interessante è che, quando la tomba venne realizzata, gli uomini dell’epoca scavarono il terreno e tutto ciò che era nascosto al suo interno, cioè le testimonianze di epoche ancora precedenti. È così che oggi è visibile una tipica pavimentazione in cocciopesto del periodo romano, ma anche i resti di alcuni edifici in argilla cruda, che probabilmente furono costruiti su quanto era rimasto di Alba Pompeia.
La sfida dei restauratori è proprio conservare materiali così diversi, per datazione e per caratteristiche. Lo spiega Lorenza Centanni: «L’obiettivo di un restauro conservativo è consolidare e preservare lo scavo, senza alterarlo in alcun modo. In questo caso, andiamo a ristabilire la coesione delle malte presenti, a stuccare le fughe e a evitare che frammenti si stacchino. Lo si fa utilizzando materiali che potevano già essere reperiti all’epoca, del tutto naturali. La particolarità dell’area in questione è la presenza di resti di edifici molto terrosi, diversi dalle malte utilizzate dai Romani: è chiaro che, in questi casi, anche l’approccio deve essere diverso dal punto di vista tecnico». Nel loro operato, i due restauratori sono affiancati da Elena Ferro e Lucrezia Cattelan, studentesse al terzo anno del liceo artistico Gallizio, impegnate nel percorso dell’alternanza scuola-lavoro. Piccoli gesti, con gli occhi fissi sullo scavo e con l’attenzione rivolta verso ogni singolo frammento.
Sarà possibile assistere dal vivo al restauro, durante l’orario di apertura del museo, dal martedì al venerdì, dalle 15 alle 18. Verranno anche proposte alcune giornate specifiche di Cantieri aperti, con la guida del personale del museo e degli stessi restauratori, che saranno pronti a rispondere a domande e curiosità. Ad agosto sono già previste alcune date: giovedì 4, venerdì 5, venerdì 19 e venerdì 26, dalle 15 alle 17. Si prosegue sabato 27 agosto, dalle 15 alle 18. Per partecipare, è consigliata la prenotazione tramite il sito Internet www.visitmudi.it.
Francesca Pinaffo
