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Omar, giovane laureato in filosofia, che pensa di fare il barista filosofo

Omar, giovane laureato in filosofia, che pensa di fare il barista filosofo

LETTERA AL GIORNALE Gentile direttore, mi chiamo Omar. Mi sono laureato due anni fa, una laurea breve, come la chiamano. Dopo qualche tempo ho cominciato a lavorare in una cooperativa, ma ho abbandonato perché i soldi che mi venivano trattenuti come quota sociale erano troppi (mi hanno promesso che mi saranno restituiti, prima o poi).

Ora lavoro per una grande azienda come stagista (600 euro al mese per 40 ore settimanali), con la promessa che sarò assunto dopo il tirocinio. L’iniziativa, però, non mi manca: quando stacco alle 18, infatti, faccio il cameriere in un bar (75 euro a sera, dalle 19 alle 2). Sono soldi ragazzi! Tutto in nero, naturalmente, con un contratto a chiamata di 4 ore da utilizzare secondo necessità. Ma non posso andare tutte le sere, altrimenti non riesco a essere lucido in ufficio il giorno dopo, alle 8.

Per me è un mestiere un po’ rischioso quello del barista, perché da stagista non potrei avere altri lavori (e mi dicono che sono già fortunato, perché molti amici non prendono un euro e la legge lo prevede). Rischioso, perché ho il terrore che qualche collega dell’ufficio venga a bere qualcosa e scopra tutto. Però, mi sono reso conto che la gente è diversa al bar e di te che sei dietro il bancone non gliene può fregare di meno.

Le scrivo perché Gazzetta d’Alba ha approfondito il problema della carenza di baristi, anche dando voce ai titolari di locali. Conosco giovani che lavorano per la persona che ha chiesto di pagare meglio e dare il buon esempio, ma so che forse quella persona ha delegato ad altri la gestione del lavoro e non conosce quanto accade davvero nella sua azienda.

I giovani sono alle strette, oggi. Alcuni miei coetanei percepiscono il reddito di cittadinanza, ma la mia famiglia mi ha sempre educato alla dignità dell’impegno; ho anche visto che con i clienti mi trovo bene, perché con la mia laurea in filosofia certe cose le so dire (semicitazione di Ivan Graziani, 1978).

Il proprietario del bar per cui lavoro ora mi lascia a fare la chiusura (dopo essersi portato via l’incasso). Io sono fiero di questa responsabilità, ma gli ho chiesto anche qualche euro nella cassa: ho timore, quando vado nel vicolo a gettare l’immondizia. Se mi aggredissero, almeno avrei qualche spicciolo per cercare di evitare che mi facciano del male.

Certo che, comunque, fare il barista conviene! Il calcolo è presto fatto: 75 euro per 25 sere fa 1.825 euro, cioè molto più di quello che guadagno in azienda; inoltre, facendo il barista, si dorme la mattina, si evita il traffico e la socialità da giacca e cravatta. Potrei addirittura mettermi da parte qualcosa per la pensione (rigorosamente in nero e non integrativa). Inoltre, si può lavorare ovunque, mentre un laureato, per esempio in giurisprudenza, può fare l’avvocato solo in Italia.

Mai mettersi in proprio, però! Un sogno alla Cocktail and dream (Tom Cruise, 1988) potrebbe costare caro, meglio mercenario, portando arte e filosofia nel locale che più ci piace o paga (la differenza la fa il lavoratore) e niente tasse a una classe politica in decadenza o decaduta, nella quale i migliori non sono ammessi. Essere in anticipo con i tempi crea un po’ di disagio, certo. Ti senti inadatto, non conforme, ma il bisogno di umanità e socialità m’ispira il mio ruolo: farò il barista filosofo.

 lettera firmata

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