GORZEGNO Sarà presentato domenica 11 settembre, alle 10, nella chiesa di San Martino il volume This must be ultra. Azioni performative del sentire (edito dal Settenario). Il libro racconta l’esperienza sportiva, artistica e mistica dei due autori: la poetessa sarda Valentina Cei con la scrittura e Claudio Lorenzoni, direttore del Museo a cielo aperto di Camo, con la corsa. Sono presenti inoltre gli interventi del direttore della fondazione Cesare Pavese Pierluigi Vaccaneo e del giornalista di Gazzetta d’Alba Lorenzo Germano. L’evento, inserito nel calendario del Pavese festival 2022, vedrà anche la partecipazione di alcuni artisti che concluderanno il progetto multidisciplinare This must be con una mostra d’arte: Gianpaolo Demartis, Maria Mesiano, Bruno Biddau, Irene Rubiano, il collettivo Clito, Domenico De Maio e la Premiata famiglia Rivoltella.
Il volume risale al secondo anno del progetto This must be, quando l’idea iniziale di esplorare la corsa come fenomeno che modifica lo spazio attorno a sé e diventa gesto artistico ci aveva preso la mano. Gli spunti, le riflessioni, le collaborazioni iniziavano a diventare troppe per andare disperse. Così è nata l’idea di raccoglierle in un taccuino, come fosse un diario di bordo su cui lasciare traccia di ispirazioni quotidiane e al tempo stesso versione ultima di ciò che quei primi due anni di lavoro avevano portato alla luce. Claudio inizia a correre e Valentina a scrivere, i mesi di allenamento e studio prendono forma in note più o meno corpose, in un flusso di corsa e coscienza che li rende nettamente diversi da ciò che erano prima: ogni studio è un accrescimento, ogni esperienza è una modifica, ogni passaggio è insieme morte e rinascita. Nel taccuino trovano spazio, insieme alle loro parole, anche un’intervista all’ultramaratoneta Marco Olmo, la cui saggia ironia fa da controcanto alla serietà con cui gli autori si sono dedicati ognuno al suo allenamento, e il primo componimento ispirato alla corsa ed esposto nel settembre 2020 a Santo Stefano Belbo.
Claudio Lorenzoni racconta: «È stata una stagione intensa con un progetto che ci ha assorbiti a 360 gradi. È andata come doveva essere: diversi linguaggi che hanno dialogato sulla corsa, sul movimento, sul mondo che cambia, sulle scelte e sull’immaginazione. È stato un anno dedicato al rapporto di dipendenza e reciprocità tra uomo e natura, pensiero e materia, astratto e concreto, vita, morte e risurrezione». Sull’utilizzo della corsa per le sue performance il direttore del museo di Camo spiega: «Già i situazionisti (Alba ne sa qualcosa grazie a Pinot Gallizio), i dadaisti, poi i surrealisti, e poi tanti altri artisti, avevano già utilizzato la pratica del camminare come pratica estetica. Ancora nessuno però lo aveva fatto correndo. A un’altra velocità, sempre lenta, ma leggermente più veloce che mi ha permesso di recuperare, reinterpretandoli e reinventandoli, tutti gli spazi che incontravo. Mi rendevo conto di essere giunto alla consapevolezza di non voler più aggiungere qualcosa al mondo che mi circondava ma che servivano solo degli occhi nuovi per guardarlo».