
ALBA Che cosa accadrebbe se, in ambito sociosanitario, di colpo sparissero i lavoratori delle cooperative? In Piemonte, si parla di circa 50mila persone. Ogni giorno, a condizioni retributive già di per sé peggiori rispetto a chi è assunto nel pubblico, garantiscono servizi essenziali: dalle strutture residenziali per disabili ai centri diurni, dalle scuole alle comunità per minori, ma anche l’assistenza domiciliare ad anziani e persone fragili.
È questo il popolo di operatori, educatori e altre figure specializzate dal quale oggi proviene un allarme molto chiaro: a queste condizioni, sarà impossibile portare avanti i servizi per il pubblico.
Il tema non è nuovo. E il problema è che nulla è cambiato. Era fine 2023 quando, dopo un decennio di attesa, veniva rinnovato il contratto collettivo nazionale di lavoro delle cooperative sociali. Per i dipendenti del settore, questo ha implicato un aumento delle remunerazioni di circa il 12%, con riferimento al biennio 2024-2025.
Come ricorda Gian Piero Porcheddu, direttore della cooperativa Coesioni sociali di Alba e referente dell’area sindacale per Confcooperative Cuneo, «gli stipendi dei lavoratori delle cooperative sono già inferiori del 20-25% rispetto a chi opera nel pubblico, malgrado si prevedano più ore». L’assurdità è che si parla delle stesse mansioni: per questo, l’adeguamento era così atteso.
E se il mondo cooperativistico si è da subito adattato aumentando le retribuzioni – in modo variabile, ma nella Granda si può parlare di una situazione positiva generalizzata –, lo stesso non vale per gli interlocutori pubblici.
Chi gestisce i servizi sociali sul territorio
Per entrare nel merito, occorre andare a monte della questione: almeno il 70% dei servizi che Asl e Comuni garantisco in ambito sociosanitario si avvale di personale delle cooperative. Si procede tramite appalti, che rappresentano la linfa vitale nei bilanci di queste ultime. Per i Comuni, in concreto esistono due strade diverse: molto spesso le funzioni vengono delegate a consorzi, come accade per Alba, Langhe e Roero; in altri casi, come per Bra, la materia sociale è gestita direttamente dalle stesse amministrazioni pubbliche. In pratica cambia poco, perché il riferimento sono sempre i Comuni. Diverso è per la parte sanitaria, con le Asl che invece fanno riferimento alla Regione.
Riprende Gian Piero Porcheddu: «La quota che riceviamo, quando lavoriamo per il pubblico, proviene in parte dalla sanità e in parte del sociale. Per i consorzi, il peso può variare dal 30 al 70 per cento del totale, a seconda dei servizi».
E anche su questo fronte emerge una forte disparità: se la Regione Piemonte e di conseguenza le Asl hanno riconosciuto nei mesi scorsi un piccolo aumento, pari al 3,5%, i Comuni sono rimasti fermi alle quote di partenza. «Per quanto riguarda la Regione, questo incremento minimo è stato frutto di lunghe trattative. Doveva essere integrato con altri aumenti progressivi, fino al 12%, che alla fine non ci sono stati. Peraltro – altra grande iniquità – è stato riconosciuto solo per i servizi residenziali. Restano fuori, per esempio, i centri diurni. Le Asl della Granda si sono dimostrate sempre molto aperte e collaborative, ma la questione è di competenza regionale». E prosegue con i Comuni: «Con i referenti dei consorzi, abbiamo avuto diversi incontri e, in sostanza, ci hanno sempre risposto che condividono il nostro punto di vista, ma che non ci sono le risorse. Mi chiedo: non sarebbe meglio togliere qualche euro da altre voci comunali e garantire l’assistenza ai più fragili?».
«Se non ci saranno cambiamenti, a maggio manifesteremo a Torino»
Dopo oltre un anno di attesa e di mancate risposte, il mondo cooperativistico ha deciso di mobilitarsi. Riprende Gian Piero Porcheddu: «Come Confcooperative Piemonte, abbiamo annunciato per fine maggio una manifestazione di fronte al grattacielo della Regione: lo sforzo organizzativo sarà ingente, perché non possiamo permetterci di fare saltare servizi essenziali». I dettagli verranno messi a punto nelle prossime settimane.
Se la Regione e i Comuni adegueranno le quote, si farà marcia indietro. «In Veneto e in Emilia, per esempio, esiste un meccanismo automatico di adeguamento a ogni aumento contrattuale: in Piemonte purtroppo non è così». Porcheddu parla anche delle conseguenze che questa situazione ha già sui dipendenti: «È chiaro che, a queste condizioni, si rischia di avere sempre meno personale a disposizione: perché fare parte di una cooperativa quando, nel pubblico, le condizioni sono migliori? Lo si vede già, in generale, nella difficoltà a garantire il turnover». Il direttore di Coesioni conclude: «A livello provinciale, ho intenzione di organizzare un tavolo di confronto con i sindaci delle principali città. Di fronte a cooperative che si trovano a fare i conti con perdite milionarie, tanto da rischiare la chiusura vista l’incapacità di coprire i costi dei servizi e degli investimenti necessari ad andare avanti, ci servono risposte certe e un accordo che ci riconosca quanto ci spetta per legge. Non accettiamo più pacche sulle spalle e messaggi di vicinanza, com’è stato fino a oggi».
Francesca Pinaffo
