PENSIERO PER DOMENICA – TERZA DI QUARESIMA – 23 MARZO
Giunti a metà del cammino quaresimale, siamo invitati dalle letture della Messa a fare una verifica. Ci vengono presentati tre casi, tre modi di rispondere alla chiamata di Dio: Mosè di fronte al roveto ardente (Es 3,1-15), gli israeliti impegnati nella dura marcia nel deserto (1Cor 10,1-6. 10-12) e gli ascoltatori di Gesù che non si convertono (Lc 13,1-9). La sollecitazione, molto chiara e quasi ovvia, è a verificare dove ci collochiamo noi. Fermo restando che forse spesso oscilliamo tra le tre posizioni.

La chiamata di Mosè avviene mentre sta pascolando il gregge del suocero Ietro, sul monte Oreb. Lo scenario è suggestivo e misterioso: Dio parla a Mosè da un cespuglio che arde senza consumarsi e gli chiede di scendere in Egitto per liberare il suo popolo oppresso. Mosè chiede un’unica garanzia: il nome di Dio, per poterlo invocare nel momento del bisogno. La risposta di Dio è sibillina: «Io sono colui che sono». Può avere tanti significati. Forse il più chiaro è questo: “Io ci sono! Io sono accanto a te sempre! Non c’è bisogno che mi invochi”. Questa rassicurazione è sufficiente: Mosè parte.
Il secondo esempio di risposta alla chiamata di Dio è quello degli israeliti impegnati nella lunga marcia nel deserto: continuamente lacerati tra il dovere di andare avanti verso la terra promessa e la fatica del cammino, la nostalgia dell’Egitto e la difficoltà di credere nel disegno di Dio. San Paolo invita la comunità di Corinto a misurarsi con il comportamento degli israeliti. Anche i corinzi avevano accolto con entusiasmo l’annuncio del Vangelo, ma poi, anziché camminare sulle strade tracciate da Gesù, si stavano arrovellando in beghe e dispute di bassa lega, come ben documentato nella lettera dell’apostolo.
Ancora più serio il comportamento dei contemporanei di Gesù, riluttanti a convertirsi, incapaci di leggere i segni dei tempi, addirittura privi di frutti “da tre anni”, come il fico della parabola. Anche noi abbiamo ascoltato il Vangelo di Gesù – da ben più di tre anni! – anche noi siamo quotidianamente testimoni di eventi, dall’Ucraina a Gaza, molto più drammatici di quelli menzionati nel Vangelo. Forse dovrebbero farci riflettere le parole di Gesù: «Se non vi convertirete, perirete tutti». La conversione al Vangelo della pace è l’unica speranza. La parola di Dio non si ferma però alle minacce. Il Vangelo si chiude con un’iniezione di fiducia: l’amministratore (Gesù?) chiede e ottiene dal padrone del fico improduttivo la dilazione del castigo. Dio dà ancora fiducia al fico. Potrebbe non darla a noi?
Lidia e Battista Galvagno
