
ECONOMIA «Con i sanguinosi dazi americani al 20% il settore vinicolo dovrà tagliare i propri ricavi di 323 milioni di euro all’anno, pena l’uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni. Perciò Unione italiana vini è convinta della necessità di fare un patto tra le nostre imprese e gli alleati commerciali d’oltreoceano che più di noi traggono profitto dai vini importati; serve condividere l’onere dell’extra-costo ed evitare di riversarlo sui consumatori». Lo ha detto il presidente di Uiv, Lamberto Frescobaldi, nel commentare i dazi al 20% annunciati dal presidente Trump anche per il vino.
«Sarà difficile per molti ha aggiunto – ma ciò che oggi spaventa ancora di più è che si ingeneri un gioco al rialzo davvero esiziale tra l’amministrazione americana e quella europea: l’accoglimento in sede Ue della proposta del ministro degli esteri Antonio Tajani di escludere gli alcolici, e quindi il vino, da eventuali dispute sarà fondamentale». Secondo un’analisi dell’osservatorio Uiv, l’unica soluzione è infatti da ricercare lungo la filiera, con il mercato – dalla produzione fino a importatori e distributori – che dovrebbe farsi carico di un taglio dei propri ricavi per un valore pari a 323 milioni di euro (su un totale di 1,94 miliardi) e mantenere così gli attuali assetti dei prezzi.
Moscato d’Asti è il prodotto più a rischio
Secondo Uiv, ben il 76% delle 480 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in «zona rossa» con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%. Aree enologiche con picchi assoluti per il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, i piemontesi al 31%, così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco. In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1.3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli Stati Uniti.
Ansa
