
IL DIBATTITO Il 5 marzo è stato depositato in Senato il disegno per una nuova legge sulla tutela della filiera del tartufo. Nelle intenzioni, dovrebbe sostituire quella attuale, la 752 del 16 dicembre 1985. Il primo firmatario è Giorgio Maria Bergesio, senatore della Lega eletto nella Granda e vicepresidente della Commissione agricoltura.
Nuove esigenze
Come ha riferito Bergesio, «l’esigenza di una nuova legge nasce dalla constatazione che, quella attuale, non risponde più alle mutate necessità del settore, cambiato, in Italia, dal punto di vista produttivo e commerciale. Il disegno mira a: valorizzare e tutelare il patrimonio tartufigeno, anche alla luce del riconoscimento Unesco alla “cerca e cavatura del tartufo in Italia”; regolamentare in modo più efficace la filiera; promuovere la tartuficoltura incentivando la coltivazione del tuber come attività agricola sostenibile; combattere l’abusivismo e le frodi».
Per far sì che il disegno di legge non faccia la fine di analoghi tentativi di modifica occorsi in passato, «sarà fondamentale un forte coordinamento tra Ministero dell’agricoltura, Regioni, Province autonome e Comuni. Oltre, ovviamente, alle associazioni di tartufai, tartuficoltori e commercianti, per garantire che la legge risponda alle esigenze dell’intero settore. Servirà un’adeguata dotazione economica per sostenere le attività di controllo, ricerca e promozione, oltre a un efficace lavoro di informazione e formazione degli operatori del settore sulle nuove norme».
I punti di forza
Secondo Bergesio, i punti di forza del testo sono: «L’istituzione del Piano nazionale della filiera del tartufo, strumento di pianificazione strategica per lo sviluppo sostenibile del settore; la creazione del Tavolo tecnico, organismo di coordinamento e consultazione; la definizione di un elenco di specie di tartufo commercializzabili, per garantire la trasparenza e la tutela del consumatore; la regolamentazione della tartuficoltura».
Aspetti ancora da approfondire e modificare riguardano «la semplificazione delle procedure burocratiche per la tartuficoltura, il rafforzamento dei controlli sulla commercializzazione del tartufo, l’incentivazione della ricerca e dell’innovazione nel settore, la tutela delle aree tartufigene naturali».
Il centro studi
Come ha riferito Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi tartufo, «essendo un primo disegno, per ora lascerei il giudizio sospeso: servono ragionamenti articolati e ampi. Nei prossimi giorni abbozzeremo qualche idea. Per il momento, posso dire che si tratterebbe di una riforma vera, non di un ritocco come avvenuto altre volte». Rispetto a quarant’anni fa «è cambiato molto. Quasi tutto il tartufo nero, ad esempio, deriva da coltivazioni, mentre il bianco, a parte alcuni casi di gestione delle piante, è tuttora ancorato alla spontaneità. Se in piemontese e in altri dialetti non esiste una traduzione di tartufaia, significa che si è sempre ragionato sulle singole piante, isolandole dall’ambiente».
La voce ai trifolao

A esporre il parere dei trifolao è Carlo Marenda: «Una nuova legge è doverosa, per noi cercatori i punti fondamentali su cui insistere sono: la tutela dei boschi esistenti, il recupero delle aree marginali e le nuove piantumazioni. Dobbiamo, sì, garantire la libera cerca, ma pure tutelare chi ha fatto investimenti in tartufaie controllate e in riserve. Pare che la legge preveda un nuovo inquadramento fiscale per i cercatori: faremo le nostre valutazioni in merito, a patto che sia garantita una vera tracciabilità del prodotto, cosa molto improbabile». Finora, per i trifolao che si mantengono sotto i settemila euro annui di vendita a soggetti con partita Iva, è richiesta un’imposta sostitutiva di cento euro.
La denominazione
Come riferito da Roberto Ponzio, avvocato albese e figlio del re dei tartufi, «la legge del 1985 è carente e obsoleta, non c’è dubbio che vada rivista, specie alla luce del riconoscimento dell’Unesco come patrimonio immateriale. Non è l’unica proposta: il 14 marzo ne è stata depositata un’altra alla Camera, con l’onorevole Marco Cerrato come primo firmatario».
Secondo Ponzio, il problema principale del disegno di Bergesio riguarda la denominazione proposta per il tartufo bianco: «La legge Salari prevedeva, tra le diciture del tuber magnatum, “tartufo d’Alba”. Tale parte era stata eliminata dalla legge 752 del 1985, dove nell’articolo 2 si legge: “tuber magnatum Pico, detto volgarmente tartufo bianco”. Il toponimo “d’Alba” appare solo in un allegato. Il disegno di legge in questione reca scritto “tuber magnatum Pico, detto volgarmente tartufo bianco pregiato, tartufo bianco del Piemonte o di Alba o tartufo bianco di Acqualagna”. Se il testo fosse approvato, si arriverebbe a una volgarizzazione del nome Alba, ricreando quel paradosso che si era originato con la possibilità di produrre in tutta Italia nocciole “delle Langhe”».
Il Bianco d’Alba
Ogni Regione o Paese, prosegue Ponzio, «dalla Calabria alla Serbia, potrebbe definire tartufi d’Alba i propri. Pur non avendo più interessi economici nel settore, appartengo alla tradizione, trasmessami da mio padre, secondo cui il tartufo bianco cavato ad Alba e dintorni è organoletticamente superiore agli altri. Se il nome potesse essere usato da chiunque, allora non ci sarebbe la necessità per un turista di fare tanti chilometri per venire fin da noi per mangiarlo».
Davide Barile
Perplessità pure dalla federazione nazionale (Fnati)
IL DIBATTITO Per la Fnati (federazione nazionale delle associazioni di tartufai italiani), la legge «dovrebbe tutelare il patrimonio tartufigeno nazionale e non trasformarlo in una coltivazione» che rischia «di favorire monopoli a danno di tartufai, commercianti e consumatori».
L’ente evidenzia incongruenze sui termini («si parla di “mercato informale”, sarebbe meglio “mercato sommerso”»), sull’assenza di norme fiscali e ambientali chiare e sulla proposta di riserve di raccolta con durata fino a 30 anni, ritenuta eccessiva: «Un periodo così lungo impedisce ogni verifica sulla corretta gestione e conservazione della risorsa».
Sempre per la Fnati, la tartuficoltura nel bosco «non esiste» e il bosco «non è recintabile». La raccolta di tartufi immaturi è «una pratica distruttiva che va sanzionata». Altra richiesta riguarda l’istituzione di un calendario nazionale unico di raccolta e la tutela della libera cerca.
d.ba.
