
BRA – SCUOLA DI PACE – Si chiamano Yana, Arthem, Vivian, Elizabeth, Igor e NIka. Hanno un nome e un volto, spesso sfigurato dai missili che lasciano frammenti nel corpo, i bambini vittime della guerra in Ucraina.
A curarli, nel fisico e nello spirito, tra gli altri, c’è anche il dottor Roberto Brambilla, che ha mollato il suo lavoro di primario di vulnologia all’istituto Zucchi di Monza per curare i bambini negli ospedali di Leopoli, e lo psicologo Domenico Spagnolo, operatore umanitario di Medici senza frontiere.
Durante la serata organizzata dalla Scuola di pace di Bra, che ha richiamato un folto pubblico, la coordinatrice del gruppo di Torino di Medici senza frontiere, Francesca Rocci, ha esordito spiegando che l’associazione è totalmente autonoma, neutrale (cura soldati ucraini e russi) e costituita di volontari.
Lo psicologo braidese Domenico Spagnolo, raccontando la sua esperienza di responsabile dei progetti di salute mentale in giro per il mondo e nell’ultimo anno proprio in Ucraina, progetto che viene portato avanti da team di psicologi locali, ha sottolineato come oggi «le persone sono stanche di un conflitto che ha già decimato le famiglie, creando dei traumi nei civili che saranno difficili da sanare».
Quotidianità interrotta dalle sirene
Brambilla e Spagnolo hanno raccontato di una quotidianità interrotta spesso dai suoni delle sirene, cui seguono le corse nei rifugi sotterranei. Toccante la testimonianza del chirurgo Roberto Brambilla, presentato anche da Giuliano Busso, referente dell’associazione braidese Mani per la pace che aveva dato un contributo per il suo lavoro a Leopoli.
Con una serie di immagini davvero crude, ha raccontato una realtà di bambini, giovani e adulti mutilati negli arti, per quali lui ha messo a disposizione le sue competenze da vulnologo, capostipite della medicina rigenerativa di cui, nel 2024, si è costituito il primo centro all’ospedale di Leopoli.
Se la prima foto proiettata in sala mostrava Yana senza gli arti inferiori, la mamma senza una gamba e il fratellino, le successive mostravano i segni della guerra su diverse parti del corpo dei pazienti che, dopo essere stati stabilizzati, vengono accompagnati all’ospedale per andare in sala operatoria.
«Il mio compito era quello di chiudere le ferite – ha spiegato il dottor Brambilla – con le tecniche della medicina rigenerativa, che ho portato dall’Italia e che adesso praticano anche i colleghi ucraini. La gioia più grande è sempre quella di poter vedere i volti, anche felici, dei pazienti che siamo riusciti a guarire. Ma non potrò mai dimenticare che la prima richiesta che mi venne fatta dal collega primario di oncologia pediatrica di Leopoli, è stata quella di 500 teli per cadaveri. Perché la guerra è questo: morte e distruzione. Con sempre più scarse possibilità di cure, se pensiamo che dei 1201 ospedali della nazione, oggi oltre 800 non sono più in funzione, perché distrutti da missili e droni».
Valter Manzone
