
di Matteo Grasso
L’INTERVISTA – Esistono diversi tipi di linee. C’è la linea del bus, quella editoriale, oppure si può essere in linea con un pensiero, nel senso che si è d’accordo. Capita che gli edifici di una città siano allineati, che una serie di oggetti sia disposta seguendo una linea. Succede anche alle persone, le poche volte che rispettano la fila. C’è chi invece, come Enzo Mastrangelo, traccia una linea di colore a pennello che, con un unico gesto, coglie l’impronta proprio di edifici, oggetti o persone. Attraverso questa tecnica, Mastrangelo ha realizzato il drappo del Palio sulla lapide posta nell’atrio del Comune in omaggio alla Resistenza albese e, sabato scorso, è stata inaugurata la sua mostra nel coro della Maddalena, che sarà visitabile fino all’8 dicembre (con orario dalle 11 alle 19 dal lunedì al venerdì e dalle 10 alle 19 il sabato e la domenica; ingresso gratuito). Per l’occasione, l’artista si è calato dalla sommità della chiesa e ha colto la traccia della facciata, come aveva fatto nel 2011 con la Mole Antonelliana.
Enzo, ti senti più architetto o artista?
«È la stessa identica cosa. L’architetto è un artista, se no non ci spieghiamo perché nei libri di storia dell’arte ci siano pittura, scultura e architettura. La capacità tecnica è un mezzo, ma i professionisti che definiscono il progettista come solo un tecnico sbagliano e lo fanno per deresponsabilizzarsi dal fatto che quando si costruisce una casa si disegna un pezzo di città. Gli oggetti architettonici sono a tutti gli effetti opere d’arte».
Come si è evoluto il tuo rapporto con la pittura?
«Inizialmente riproducevo ad acquerello dei paesaggi naturali. Per esempio, nel rappresentare un ambiente marino, tracciavo una linea gialla per la sabbia, una blu per il mare e una azzurra per il cielo. Poi, per via delle proprietà degli acquerelli, ho iniziato a utilizzare una sola pennellata, unendo i colori. In seguito, ho cominciato a far balzare il colore ancora fresco da un foglio a un altro, dando vita a percorsi imprevedibili e dinamici».
Alla fine del percorso, sei arrivato a catturare l’impronta di edifici, oggetti e persone con una sola pennellata… di cosa si tratta?
«Marisa Vescovo le ha definite pittura, ed è così: sono linee tracciate a pennello su un tessuto. La mia è un’opera concettuale e di sintesi. Ogni linea, anche se simile, è diversa e di questo mi stupisco ogni volta perché vige sempre un elemento di imprevedibilità. Quando traccio una linea su un oggetto o una persona diventa altro: un richiamo, una serie infinita di piccoli dettagli, un’impronta dell’identità di quel soggetto. Le persone hanno una forza superiore rispetto agli oggetti inanimati: nella linea si palesa il fatto che il modello è vivo, non lo vediamo, ma nondimeno è presente. Non cerco la verosimiglianza, anzi la evito. Il valore non è nell’aspetto realistico, ma nell’atto: io traccio una linea sulle cose. E questo, per me, è tutto».
Hai fatto una lunga serie di ritratti…
«Si, l’idea è nata nei primi anni di Collisioni, quando ero parte attiva. Di tutti gli ospiti non rimaneva una traccia, così pensai di passare su di loro una linea. Il primo tentativo fu con Sgarbi, che rifiutò. Uno dei primi ritratti lo feci al fumettista Vauro Senesi, in rosso su tessuto bianco. Poi ho capito che la linea bianca su fondo scuro faceva emergere molto meglio i dettagli. Un’esperienza emozionante è stato ritrarre sul palco gli ospiti della serata Per voci sole. Ricordo con grande piacere Roberto Vecchioni e Lella Costa, con cui, alla fine, ci fu uno scambio personale relativo all’arte. Questi momenti dietro le quinte sono ciò che mi porto davvero a casa».
Che messaggio porta con sé il drappo del Palio?
«Il soggetto è il bronzo della motivazione con cui è stata assegnata la medaglia d’oro per la Resistenza ad Alba. Da quel momento sono passati ottant’anni e il mondo sembra essersi dimenticato di cosa porta la guerra. Quindi vuole essere un messaggio di pace, che ci spinga a fare attenzione davvero. Oggi, ci sono tutti i mezzi per conoscere ed evitare i conflitti. Il titolo dell’opera, Oro d’Alba è piuttosto eloquente: questo territorio sa cosa vuol dire la Resistenza».
