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IL CASO / Sono più di 690 gli albesi di serie B: vivono in città, ma non hanno gli stessi diritti dei loro coetanei

Se il dibattitto sullo Ius Scholae prosegue a livello parlamentare, abbiamo analizzato la situazione a livello locale. In Piemonte, sono 81.300 gli studenti stranieri iscritti.

Sono più di 690 gli albesi di serie B: vivono in città, ma non hanno gli stessi diritti dei loro coetanei

DIRITTI Quando si parla di Ius scholae, il principio che prevede il riconoscimento della cittadinanza ai minori stranieri che completano un ciclo scolastico di almeno cinque anni nel Paese in cui vivono, ci si dimentica che c’è ben altro rispetto al dibattito che da settimane infiamma la politica italiana. Ci sono le storie di giovani che, a oggi, si vedono privati di diritti e occasioni.

I numeri

Secondo uno studio pubblicato da poco da Ires Piemonte (Istituto di ricerche socioeconomiche), dal titolo “10 numeri: studenti stranieri, quanti sono e cosa fanno”, nell’anno scolastico 2022-2023 erano 81.300 gli stranieri iscritti nelle scuole della nostra regione. Un dato in aumento, se si pensa che nel 2000 erano appena 15mila. Nel dettaglio, lo studio registra 14.600 bambini all’infanzia, 45.700 alla primaria e alle medie, 21mila alle superiori. Se si restringe ancora il campo, il concetto non cambia. Secondo i dati demografici del Comune di Alba, relativi al 2023, sotto le torri vivono 692 stranieri sotto i 18 anni. Se si somma questa cifra ai 4.549 minori albesi residenti, i bambini e i ragazzi senza cittadinanza sono il 13,2%.

Il dibattitto

Sono cifre che spiegano la ragione per cui, dopo il successo alle Olimpiadi di Parigi degli atleti italiani di origine straniera, è esplosa la discussione. A oggi, nel nostro Paese, ci si basa su una legge del 1992, secondo il cosiddetto Ius sanguinis: diventa italiano chi è figlio di uno o di entrambi i genitori italiani.

Lo Ius scholae introdurrebbe una rivoluzione radicale. Per esempio, se un bambino è nato in Marocco e cresce in Italia, al termine delle elementari otterrebbe di diritto i documenti. Si supererebbero così le barriere burocratiche attuali, si favorirebbe l’inclusione e il senso di appartenenza. Con la cittadinanza, si può votare, avere accesso senza restrizioni al mercato del lavoro nell’Unione europea, ottenere benefici sanitari e sociali.

Sostenuta dalla sinistra, la misura ha ottenuto negli scorsi giorni l’avallo di alcune frange del centrodestra. Ad agosto, il governatore del Piemonte Alberto Cirio, in linea con l’apertura del ministro degli esteri Antonio Tajani, ha sostenuto pubblicamente la possibilità di trasformare la proposta di legge in realtà. Alcuni partiti di maggioranza si sono opposti all’idea, come la Lega, mentre Fratelli d’Italia ha scelto la linea del silenzio.

Il domani

Da non scordare un altro aspetto importante. Se si considera che molti migranti che arrivano in Italia sono genitori, nei prossimi anni le cosiddette seconde generazioni aumenteranno. Già oggi è così. Tornando alla ricerca di Ires, emerge un dato molto rilevante: ogni 100 allievi con cittadinanza straniera presenti in Piemonte, 70 sono nati in Italia. È così per l’83% dei bambini stranieri che frequentano l’infanzia, per il 72% alla primaria, per il 68% alle medie e per il 57% alle superiori, il segno di un cambiamento già avvenuto.

Porte chiuse

Il non riconoscimento della cittadinanza ha una serie di ricadute impattanti. Sempre secondo Ires, lo svantaggio sociale riguarda il 55% degli stranieri di seconda generazione. Significa che esistono ancora gravi carenze nei processi di integrazione e accoglienza. Spiegano i ricercatori: «Se si guarda al titolo di studio dei genitori, questi giovani hanno almeno un genitore laureato nel 17% dei casi, il valore più basso tra i tre gruppi di studenti considerati (provenienti da altri Paesi con programmi di mobilità, stranieri di seconda generazione e italiani)».

Se lo Ius scholae diventasse realtà, nel giro di cinque anni si potrebbe contare su oltre mezzo milione di italiani in più. Un modo non solo per contrastare le difficoltà demografiche, ma anche l’occasione di restituire dignità a persone che fanno già parte del tessuto nazionale, pur essendone escluse per legge.

 Roberto Aria

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