
LA STORIA A Barbaresco, al ristorante Antiné, c’è il regno di Manuel Bouchard, classe 1988. Il suo è stato un vero e proprio innamoramento a prima vista per la Langa, grazie ad alcune esperienze lavorative a Serralunga e a Monforte.
Per completare la sua formazione, è passato anche lui da Orta e da Antonino Cannavacciuolo, tra le varie esperienze. Per aprire un ristorante tutto suo, il pensiero torna alle colline piemontesi: «È stata una decisione molto semplice: la Langa. Grazie a un collega, sono arrivato da Antinè a Barbaresco e, dopo alcuni mesi di trattative, nel 2014 è iniziato il mio viaggio». Lo abbiamo intervistato.
Qual è un piatto che la rappresenta, chef?
«Uno dei miei piatti simbolo, anche se può sembrare banale, sono i plin. La vera sfida, dato che in questo territorio li propongono tutti e sempre di qualità, fu quella di realizzarli in una maniera personale, in modo che fossero distinguibili dagli altri. Dopo svariati tentativi sulla pasta, lo spessore a cui tirarla e diversi modi di lavorazione del ripieno, tradizionale, con maiale, coniglio e vitello, ho raggiunto un risultato soddisfacente e ancora oggi sono tra i piatti più apprezzati in carta. Un altro è senza dubbio il piccione, non sempre presente nel menù. Mi piace lavorarlo e proporlo in versioni diverse in base alla singola stagione».
Cosa pensa del nuovo Codice stradale? C’è apprensione nella ristorazione.
«Hanno indubbiamente avuto un impatto negativo sul consumo di vino, per ovvi motivi legati soprattutto alla gravità delle pene commisurate. Questo comporta una riduzione del consumo degli alcolici. E, in un territorio come il nostro, dove il vino la fa da padrone, gli effetti si percepiscono. Ritengo che, nei prossimi mesi, la situazione si stabilizzerà, ma è difficile al momento fare previsioni sui consumi».
Qualche tasto dolente sul nostro territorio?
«La Langa oggi è un’area stupenda dal punto di vista paesaggistico ed è molto ricca per quanto riguarda il mondo dell’enogastronomia. Questo risultato si è ottenuto grazie al duro lavoro svolto negli anni dalle comunità locali (i produttori di vino, i ristoratori, i creatori di eccellenze agroalimentari che hanno creduto e continuano a credere in questi luoghi), un aspetto che non va dimenticato. Un tasto dolente, a mio avviso, è una proposta gastronomica troppo internazionale che presta poca attenzione al territorio. Questo fa sì che che la percezione del turista che approda su queste colline sia purtroppo meno autentica rispetto ad anni fa. Credo che, nel prossimo futuro, sia importante lavorare in una direzione diversa, imprimendo tramite la gastronomia un’identità territoriale forte che ci distingua dal resto del mondo e che continui a dare alle persone il motivo per percorrere migliaia di chilometri e scegliere questo angolo di mondo. Solo così avremo sempre persone disposte a sedersi alle nostre tavole e a bere i nostri vini pregiati».
Filippo Bonardo Conti
