di Maria Grazia Olivero
ALBA – La Malora che descrisse Beppe Fenoglio non fu un espediente letterario. Fu il racconto della vita grama di persone che, attraverso quelle pagine, contribuirono all’identità collettiva, oltre che a modellare le colline divenute patrimonio dell’umanità. Se nell’arco di poche generazioni la Langa e il Roero hanno compiuto passi da gigante, fino a diventare uno dei distretti del vino e del tartufo più blasonati e ricercati dai turisti di mezzo mondo, lo si deve a una straordinaria congiunzione di saperi, intelligenze, forza di carattere e lavoro.
Ma i nostri giovani conoscono questa storia? Saranno capaci di gestirne l’eredità? Sono coscienti, langaroli e roerini, che camminano – come sempre accade nelle vicende umane – su una strada tracciata da una comunità di persone di ogni ceto sociale e culturale, accomunata dalla capacità di guardare avanti, anche in tempi difficili e poco lontani? Se lo sono chiesti Carlo Petrini, fondatore di Slow food, e Paolo Tibaldi, attore, narratore e collaboratore di Gazzetta d’Alba con la sua rubrica “Abitare il piemontese”. Nasce da questo stimolo Vite di Langa e Roero – Trasformazioni sociali di una civiltà contadina, edito da Slow food. Il volume sarà presentato al teatro Sociale di Alba mercoledì 10 dicembre, alle 20,45, e distribuito tramite i Comuni ai giovani, perché facciano memoria della loro appartenenza.
Spiega Petrini: «Reduci dal successo dell’iniziativa di due anni addietro, “Se la Langa è così”, realizzata ad Alba e Pollenzo, mi sono reso conto che molti dei presenti non conoscevano il passato, la storia dei padri, dei nonni. Per questo, con Paolo Tibaldi, abbiamo deciso di raccontare l’epopea delle nostre colline in un libro, che cercheremo di divulgare a tutti e in particolare ai più giovani, per poi tradurlo in inglese, destinandolo ai turisti. Sarà la nostra storia, questa volta nero su bianco. Ci sono stati vicini Banca d’Alba, i Comuni e molti produttori».
Petrini, orgogliosi della forza che ha condotto Langa e Roero fin qui, è giusto chiedersi che cosa aspettarsi dal futuro. Può aiutarci?
«Appare importante, in una piccola realtà geografica come la nostra, avere la capacità di governare il limite, ricreando il senso della comunità. Abbiamo chiari segnali di sfaldamento. I nostri paesi sono zeppi di bed and breakfast – 1.550 posti per turisti solo a La Morra –, ma mancano le osterie, i negozi, i servizi, perfino i parroci. Fare comunità vuol dire andare avanti nella consapevolezza delle nostre potenzialità, magari studiando nuove forme d’intervento che vedano i giovani coinvolti per consolidare il turismo, convinti che non sempre si è in espansione».
Che cosa hanno da dirci, a tal proposito, i patriarchi di cui si narrano le vicende in Vite di Langa e Roero?
«Questa storia, la nostra, è unica. Chiediamoci perché all’interno di un areale di trenta chilometri sono emersi imprenditori come Ferrero, Alberione, Miroglio, per citarne alcuni, che non hanno favorito lo spopolamento verso la città, ma hanno dato linfa alle colline. In questo fazzoletto di terra sono maturate inoltre figure di grandi intellettuali, che hanno fornito un contributo al sapere collettivo: Pavese, Fenoglio, Arpino, Lagorio, Lajolo, Gallizio. Abbiamo vissuto un momento magico, con figure straordinarie, che i ragazzi talvolta non conoscono. Per questo abbiamo cercato, io e Paolo Tibaldi, di mettere in luce le radici culturali, economiche e sociali dell’area, in modo da formare una solida consapevolezza del suo valore».

La nascita di Slow food, di cui lei è il padre, ha contribuito in anni più recenti a un’altra svolta culturale. Giusto?
«A partire dagli anni Ottanta, il ruolo di Slow food è stato determinante a livello sociale. Il movimento internazionale ha puntato a dare valore al cibo, diffondendo il rispetto verso chi lo produce in armonia con l’ambiente, grazie ai saperi di cui sono custodi i territori e le tradizioni locali. E l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo ha favorito dal 2004 un insediamento di pensiero coerente con questo impegno. Gli studenti che passano qui i migliori anni della loro vita se ne vanno con la Langa nel cuore».
Tuttavia, il peso delle multinazionali pare schiacciante sull’economia. Come reagire?
«Ritengo che una risposta stia partendo in modo forte dalle persone. Il peso dell’economia locale è molto più valorizzato oggi rispetto a dieci anni addietro e la rigenerazione dei borghi deve avvenire proprio in questo spazio. Se dovessi fare rinascere Slow food in questo momento non punterei contro Mc Donald’s e il fast food, bensì contro Amazon».
Lei attribuisce ai giovani una grande responsabilità.
«Devono superare la logica di contrapposizione tra tradizione e innovazione, per pensare in maniera dialettica. Una buona tradizione può essere una grande innovazione. Perciò i nostri ragazzi devono conoscere il passato, in modo da guardare al futuro. Devono sapere che la Malora non è un’invenzione letteraria, che da Langa e Roero si partiva per andare a lavorare in America (lo ha fatto anche la famiglia di papa Bergoglio), una vera epopea che ci ha portati fin qui».

Esiste il rischio che le vigne che tutti ci invidiano siano acquisite dai fondi stranieri?
«Al momento il problema è ancora marginale, ma il valore della terra in Langa è sproporzionato. Ci occorrono forme di accesso al credito per i giovani che intendono continuare a lavorare la terra o tornare, perché abbiamo accanto una gran bella generazione».
Come si può dare dignità al lavoro dei migranti?
«Servono forme di educazione e idonei momenti formativi (ne parliamo anche alle pagg. 8-9, n.d.r.), oltre alla coscienza che l’indispensabile innesto di questi lavoratori debba avvenire su un terreno di rispetto. Per esempio, stiamo organizzando per l’anno a venire presso l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo un corso per una ventina di camerieri migranti. La Langa e il Roero ne hanno bisogno, ma occorre fornire loro una preparazione coerente, pensando che quando arrivano non hanno casa, vestiti, nemmeno cibo, se non ci fosse la Caritas. Per dare dignità alla formazione occorre prevedere un aiuto subito, ricordando che anche noi, appena ieri, abbiamo varcato l’Oceano. Soltanto così potranno diventare langaroli, nostri figli e fratelli».
