«Malato di sla, faccio lo sciopero della fame contro i tagli al welfare»

L'ultimo saluto al medico che lottò per difendere i diritti dei malati di Sla

Il  medico fossanese Alberto Damilano e sta protestando contro i tagli al welfare

Per quasi una settimana, a partire dal 21 ottobre, fino a sabato 27 ottobre, oltre 70 malati di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) in tutta Italia hanno portato avanti uno sciopero della fame per chiedere al Governo di ripristinare i fondi dedicati alla non autosufficienza. «Il governo ha deciso di dedicare parte dei 658 milioni della spending review, alla non autosufficienza, in particolare ai disabili gravissimi – si legge in una nota del Comitato 16 novembre, che riunisce centinaia di malati in tutta la penisola – ma a tutt’oggi, vi è la mancanza assoluta di un piano organico». Sabato sera lo scioperò è stato sospeso in attesa dell’incontro congiunto con i tre ministri interessati, Politiche sociali, Fornero, Sanità, Balduzzi, ed Economia, Grilli, che dovrebbe aver luogo a metà settimana.  Abbiamo raccolto la testimonianza di Alberto Damilano, ex direttore medico del Sert di Settimo, vive a Cinzano Torinese; è malato da tre anni di sclerosi laterale amiotrofica, ed è cofondatore del Comitato che ha promosso la protesta.

Qual è stato l’obiettivo principale di questo sciopero della fame? Com’è nata l’idea?

«A novembre 2010, stanchi dell’inconcludenza delle grandi associazioni che dovrebbero tutelare gli ammalati di Sla, organizzammo a Roma un presidio con decine di malati, tra cui il sottoscritto. Unico strumento un forum di malati su internet. Io, allora, ero in carrozzina, mi alimentavo normalmente ed ero prossimo a perder la voce. “Strappammo” i famosi 100 milioni di euro per l’assistenza domiciliare ai malati di Sla, che si sono poi tradotti in assegni di cura per l’assunzione di assistenti familiari, con l’intento di sgravare le famiglie. Successivamente riflettemmo sul fatto che nelle stesse condizioni di un malato Sla in fase avanzata ci sono tutti i disabili gravissimi e i non-autosufficienti totali, del tutto scoperti di assistenza da quando il governo Berlusconi azzerò, due anni fa, il fondo nazionale non autosufficienze. Un diritto, se non è di tutti, si trasforma in privilegio per pochi. Il varo di un Piano per le non-autosufficienze divenne allora il nostro obbiettivo. Dopo tre presidi, stanchi di promesse e rinvii, non ci è rimasto altro che lo sciopero della fame».

Dove trae la forza per continuare a lottare?

«Benché abbia conservato solo il movimento degli occhi, sia costretto a letto e sia collegato a macchinari sia per respirare che per alimentarmi, io sono un privilegiato. Ho attorno una famiglia splendida, mia moglie Francesca e mia figlia Micol, di 22 anni, mi posso permettere due assistenti part-time che si alternano mattina e pomeriggio nei giorni feriali, in modo da non costringere mia moglie agli “arresti domiciliari”. Anche così è dura, di Sla è tutta la famiglia ad ammalarsi, ma ce la si può fare. Semplicemente, voglio smettere di sentirmi un privilegiato, nessuno più deve lasciarsi morire sentendo di esser di peso ai suoi cari».

Siete soddisfatti del riscontro ottenuto in questi giorni dalla vostra iniziativa?

«C’è stato un concorso straordinario di solidarietà “dal basso” direttamente proporzionale al silenzio da parte del governo. Sul piano della sensibilizzazione nei confronti della gravissima disabilità é stato un successo».

Che cosa si sente di dire ad un paziente al quale è appena stata diagnosticata la sua malattia?

«Che si può convivere con una malattia così devastante. Che ogni scelta è legittima, ma se si riesce ad accettare la malattia, si può guardare avanti e vivere una seconda vita. La nostalgia uccide. L’accettazione è l’esatto contrario della rassegnazione, permette anche di scoprire attitudini nuove. Io facevo il medico, con la malattia ho scoperto il piacere della scrittura, sono al secondo romanzo. Il primo è stato parzialmente autobiografico, è un noir ambientato a Torino, dove il protagonista si ammala e riesce a riscattare una vita fin lì fallimentare. E a esplorare territori umani a lui sconosciuti. Ha avuto un discreto successo con una casa editrice minore e a gennaio uscirà ripubblicato da Longanesi. Se si ha la forza di non guardarsi indietro si trova il coraggio di avere nuovi progetti. La vita continua».

Quali sono le difficoltà più grandi, delle tante, che i pazienti di Sla devono affrontare nella vita quotidiana? Secondo lei cosa potrebbe aiutarvi?

«Ripeto, la malattia è terribile quando è rapida come nel mio caso. Si può decidere di farla finita perché si pensa che quella non è più vita o perché si è soli. Non c’è neppure bisogno di suicidarsi, basta rifiutare l’intervento di tracheostomia quando il respiro viene meno. 8 malati su 10, oggi, si lasciano morire così. A tutti va data una possibilità, nessuno dovrebbe esser lasciato solo. Le famiglie in cui entra la Sla vivono peggio dei terremotati. Chi assiste un malato Sla è costretto a lasciare il lavoro, vende la casa. Da soli, senza adeguata assistenza si muore in silenzio. Noi abbiamo portato alla luce queste tragedie quotidiane, con le nostre lotte mute gridiamo il diritto a vivere».

a.r.

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