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Eravamo in un mare di guai

Si chiama Michele e abitava vicino a Pinerolo.

La sua è una biografia allineata a quelle dei coetanei ventiseienni: un oceano di ambizioni e desideri, una famiglia di sottofondo ad accompagnarlo in scelte e sfide, un’università mai terminata per via di un’intraprendenza professionale che lo allontanava dal «molto più noioso» scopo formativo.

Unico fattore a rendere Michele diverso da tutti i suoi amici, ci spiega, è «un’esperienza di insuccesso lavorativo insorta precocemente, una sorta di trauma che, suppongo, ha cambiato per sempre la mia vita». Michele avvia con un amico un’azienda di programmazione informatica e creazione di siti Internet.

«Ho appreso il mestiere da solo, a partire dai libri e dalle esperienze dirette. All’inizio tutto andava bene, ma i vincoli finanziari e burocratici per aprire un’azienda sono innumerevoli: facendo due calcoli, capii che per i primi due anni di attività, anche nel caso in cui le cose fossero andate bene, non avrei totalizzato alcun tipo di profitto.

Decido comunque di tentare, ma dopo un anno è cominciato il vortice della crisi economica. Più che la mancanza di lavoro, erano i pagamenti non avvenuti o eccessivamente in ritardo a pesare sulle spalle dell’azienda».

Michele ricorda un aneddoto, in particolare: «Dopo due mesi di silenzio, telefono a uno dei nostri primi clienti reclamando il pagamento: lui mi risponde, con aria sconfitta: e come faccio a pagarti che neanche io ho i soldi? Era davvero dispiaciuto, e in quel momento ho capito che tutti eravamo in un mare di guai».

Tra le difficoltà generali e le infinite spese, Michele è costretto a chiudere. Ha lavorato per un periodo di tempo ad Alba, in una grande azienda alimentare, grazie al sostegno e all’incoraggiamento di un amico. «Ora il contratto stagionale è finito, sono a piedi e sto pensando di iscrivermi all’università, per ricominciare gli studi da dove li avevo interrotti. Penso di iniziare una triennale, che perlomeno ti offre qualche sicurezza lavorativa. Mi sono stancato dell’incertezza, e ho solo ventisei anni».

Matteo Viberti

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