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Leggende albesi diventano un romanzo

Walter Veltroni e Aldo Cazzullo sono gli ospiti scelti dalla fondazione Ugo Cerrato per la serata di venerdì 28 ottobre, alle 21, nel teatro Giorgio Busca di Alba. «La fondazione è nata su iniziativa di un gruppo di albesi impegnati a vario titolo nella vita politica e culturale per sviluppare progetti e studi sulla realtà albese e sulla sua storia. È intitolata a Ugo Cerrato, maestro di vita, appassionato e leale, combattivo e capace di tradurre, come l’amico Beppe Fenoglio, l’esperienza della Resistenza in una lezione attuale e necessaria », spiega Giovanni Battista Panero.

Aldo Cazzullo (foto), albese, è inviato ed editorialista del Corriere della Sera, saggista e scrittore. La mia anima è ovunque tu sia, edito da Mondadori, è il suo primo romanzo. Alba e le Langhe sono l’ambiente nel quale si sviluppa una trama che avvince. Alcune domande all’autore, in vista della presentazione, erano d’obbligo.aldo_cazzullo

Nel romanzo, centrale è la sorte del tesoro della Quarta armata, fonte di una delle leggende albesi più ricorrenti. Al di là delle invenzioni letterarie, di cui rende conto nella conclusione, quale peso hanno avuto testimonianze dirette, se ne ha ricevute, nella costruzione della trama?

«Stavo lavorando al prossimo saggio, sulla Resistenza, quando mi sono imbattuto in questa leggenda cittadina. Sinceramente, non ne avevo mai sentito parlare. A chiedere ai vecchi albesi, però, mi sono reso conto che più o meno la sapevano tutti. Ovviamente la considero una leggenda; anche se, come sempre, può avere un fondo di verità. Il romanzo è di per sé una leggenda, in questo caso costruito su un’altra leggenda. I personaggi sono di fantasia, la trama pure. Il fondo di verità è in quel “forse” che chiude la nota finale. Anche se faccio notare che l’ultima parola del romanzo è “alba”».

La mia anima è dovunque tu sia è un libro rapido, senza fronzoli, «come una fucilata ». Ma l’idea per quanto e come è maturata? «Il libro mi è uscito di getto. All’evidenza, ce l’avevo dentro. Le figure femminili le ho messe a fuoco passeggiando con mia figlia Rossana, che ha solo undici anni, ma proprio per questo una fantasia fervida. Dalle chiacchierate con lei e con mio figlio Francesco sono nati i personaggi di Virginia, la partigiana, la donna della copertina, contesa tra i due capi Domenico e Alberto: dopo la sua morte, il primo ne sposerà la sorella, Vittoria, e il secondo la migliore amica, Esterina. Anche se l’intreccio che lega vittima e carnefice dura per 66 anni, e sarà sciolto solo alla fine. Ma la vera protagonista del romanzo è Alba, sono le Langhe, e la sua gente».romanzo la mia anima ovunque tu sia

Il più riconoscibile tra i personaggi è Amilcare Braida, lo scrittore. «È ovviamente un omaggio a Beppe Fenoglio, ma non è Beppe Fenoglio; che tra l’altro nel novembre 1963, uno dei tre piani temporali del romanzo, purtroppo era già morto. Braida è il cognome della famiglia della Malora. Amilcare era il nome del padre di Fenoglio. Mio nonno Aldo andò a 12 anni a fare il garzone da lui, tra le sue incombenze c’era anche quella di accompagnare il piccolo Beppe all’asilo. La memoria di Fenoglio per me è sacra, e non è solo albese ma universale. Molte cose su di lui le ho imparate dal bel libro di Piero Negri Scaglione, Questioni private».

La Resistenza è un tema sul quale gli italiani non hanno una storia condivisa. La pensa come Giorgio Bocca o come Giampaolo Pansa? E, soprattutto, cosa rimane oggi dei suoi valori?«Pansa mi ha attaccato in pubblico per Viva l’Italia!, definendolo “un libretto”. Poi si è scusato in privato. Continuo a considerarlo un grande giornalista. Le vicende da lui raccontate nei suoi libri sono accadute davvero, ed è giusto che siano conosciute. Purché si tenga sempre a mente che i “vinti” sono tali dopo il 25 aprile, ma prima hanno il coltello dalla parte del manico, e lo usano: Salò dalla sua ha le SS, i tedeschi; mentre i “vincitori” venivano braccati, seviziati comeVirginia, fucilati senza processo, appesi, esposti come monito per terrorizzare i civili. Quindi sulla Resistenza la penso più comeBocca. Che ormai, lo dico con affetto, passa per un langarolo ad honorem. Anche se è di Cuneo…».

Nel libro non manca un accenno ai tartufi. E della loro relativa scarsità, mascherata dall’importazione di esemplari “esteri”, ha parlato con Fabio Fazio a Che tempo che fa. In città non tutti l’hanno presa bene. «A parte il fatto che con Fazio abbiamo fatto uno spot lungo dieci minuti su Alba e le Langhe in prima serata tv, quel che ho detto lo ribadisco: se fossero di Alba tutti i tartufi venduti come tali, ad Alba i tartufi dovrebbero spuntare sugli alberi come ciliegie. Ma questo non significa attaccare la mia terra, anzi significa difendere i commercianti onesti. Perché se andate a Milano o a Romao a Parigi, il ristoratore vi venderà sempre tartufi di Alba, anche se non sono tali. Mi hanno fatto presente che il nome “tartufo d’Alba” non indica una provenienza ma una caratteristica, non vuol dire che è stato trovato ad Alba ma che ha caratteristiche compatibili con il tartufo di Alba. Sarà. Non voglio entrare nelle cose tecniche. Dico solo che La mia anima è ovunque tu sia è un romanzo in cui mi metto molto in gioco, in cui ci sono le mie radici. È un’elegia della mia città, della mia terra. Mi aspetto le critiche. C’è un passo in cui si distinguono i torinesi – militari, operai, comunisti, preti sociali: gente inquadrata – dai langhetti, irregolari, vignaioli, scrittori, giocatori d’azzardo, talora truffatori. Non dico che siamo tutti così; ma qualche irregolare di certo l’abbiamo partorito, e pure qualche lingera. Di fronte a tutto questo, la Resistenza, il tesoro, il miracolo economico, mettersi a discutere solo di tartufi mi pare guardare il dito anziché la luna».

Paolo Rastelli

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