In Africa, missione salute

Un’esperienza gratificante e difficile quella dell’albese Federico Sibona, giovane medico di 27 anni, il quale è stato in Tanzania e in Burundi. Federico si è laureato in medicina a Torino, poi ha frequentato un corso di studio in ortopedia in Germania. Da anni pensava all’esperienza africana. Con una organizzazione non governativa, la Cope di Catania (Cooperazione Paesi emergenti, d’ispirazione cristiana, con l’opzione principale per i poveri), nel 2010 è partito per la Tanzania per un periodo di due mesi, poi protratti a un anno.

Federico è stato impegnato in un centro salute, un dispensario con 40 posti letto, gestito da personale tanzaniano con l’aiuto di un’infermiera italiana. «Il dispensario è un presidio generico per tutta la popolazione, mentre chi lavora per il Cuamm (nato nel 1950 a Padova, per formare medici nei Paesi in via di sviluppo) dev’essere uno specialista. Qui ho fatto una breve esperienza. In Tanzania mancano chirurghi validi. Molti medici del posto sono senza competenze adeguate, specialmente in chirurgia», è l’amara considerazione del giovane albese, al momento in città.

In Tanzania, nella Diocesi di Iringa, Federico ha imparato lo swahili per poter lavorare da solo, come in Italia. A Tosamaganga Federico ha incontrato anche l’amore. Qui ha conosciuto la giovane veronese Elisa, specializzanda in ginecologia, ora sua fidanzata: insieme sperano di tornare in Africa o nel Sud America, questa volta in coppia.

Poi, è arrivata l’esperienza di un anno in Burundi, nell’ospedale di Mutoyi, a 40 chilometri da Gitega, un vero ospedale, con 300 posti letto. La struttura è nata nel 1970 per opera di un missionario e due suore italiane. Ci sono quattro reparti: ostetricia, pediatria, medicina, chirurgia, con 8 medici e una direttrice italiana, Paola. «Paola è una vera manager, rigorosa, efficiente, ferma nelle decisioni. La pulizia nei reparti è perfetta ». Federico parla con ammirazione di questa donna, della quale apprezza le capacità di far funzionare bene questo grande ospedale, in cui nascono 4.000 bambini l’anno.

L’ospedale è immerso nel verde, come tutto il Burundi. Ogni giorno ai cancelli si ammassano lunghe code di ammalati, circa 800, sin dalle prime ore del mattino. «Le patologie più frequenti sono la malaria e la tubercolosi. Molti gli incidenti stradali causati da biciclette, moto, bambini che saltano giù dai traballanti camion. In traumatologia c’è sempre lavoro. In compenso, in Burundi sono pochi gli ammalati di Aids», dice Federico.

Prosegue il giovane albese: «La gente in Tanzania è più serena, la situazione politica è migliore. In questo Paese non ci sono state guerre, mentre la guerriglia tra Hutu e Tutsi in Burundi, iniziata nel 1993 e terminata ufficialmente nell’agosto del 2005, in realtà è proseguita sino al 2009. Il conflitto ha lasciato un forte segno nella popolazione: la gente è molto diffidente. Dopo le 18, per paura, nessuno esce di casa. Ci sono molti omicidi. Durante la guerra i cortili dell’ospedale eranopieni di persone che si riunivano per passare la notte». Federico vede il suo futuro legato al Continente nero: «Ora inizierò la specializzazione in ortopedia a Brescia. Poi, io ed Elisa, torneremo in Africa. Crediamo che, nonostante le difficoltà, qualcosa possa cambiare. Sarà una goccia,maanche una goccia arricchisce l’oceano. Ci vorrà tanto tempo, ma noi speriamo. Intanto, partiamo in due».

Severino Marcato

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