«Il mio sogno di avere una casa si è spezzato»

Non conosciamo D. Ha fissato un appuntamento in redazione per raccontare a Gazzetta la sua storia: si tratta di un problema legato alla casa. Puntuale arriva correndo di fianco al cantiere di piazza San Paolo: un uomo magrolino, dagli occhi grandi e lucidi; le pieghe del suo viso e il suo sforzo nel sorridere trasmettono malinconia. C’è una contraddizione tra il suo corpo gracile e il suo sguardo: ricorda un Ulisse dei giorni nostri, che desidera tornare o forse fermarsi. Tende la mano, sorridendo e dopo essersi presentato comincia a raccontare: «Il mio sogno si è rotto in mille pezzi. Desideravo una casa abbastanza grande per i miei figli, ma ora mi ritrovo a morire di caldo in venti metri quadri, in una pensione». D. con voce spezzata ci spiega che non ambiva a una villa con piscina o a un loft; da dieci anni il quarantenne cittadino marocchino attendeva una casa popolare per conto del Comune e degli enti specializzati. «Quattro stanze e un bagno è tutto quello che mi serve. È da ventidue anni che abito in Italia; mi sono sempre accontentato di poco, ma da quando i bambini sono nati (la prima ha nove anni, il secondo cinque), è necessario più spazio».

A maggio D. ha firmato il contratto che attesta il diritto ad abitare in un alloggio di proprietà dell’Atc. «Cinque mesi fa ero felice di avere ottenuto la casa. Venite a vedere l’alloggio; potete scattare delle foto?». Accettiamo.
In automobile le parole sono poche. Prima di scendere dall’auto D. ci consiglia di nascondere taccuino e macchina fotografica. «È cominciato tutto il secondo giorno dopo avere firmato il contratto. Sul legno della mia porta d’ingresso».
Tra gli sguardi indiscreti delle persone che sedute in cortile si godono il tramonto, ci conduce al pianterreno di un condominio della periferia albese; e in effetti sulla sua porta d’ingresso ci mostra un’incisione a tre lettere: Ita.
«Non ho potuto finire di imbiancare casa mia. Non potete nemmeno immaginare quello che vedrete ora».

Aperta la porta, balena agli occhi l’iscrizione «via» a caratteri cubitali, eseguita velocemente con un pennello malconcio e dell’antiruggine. D. conferma: «Questi razzisti sono furbi. Ho tentato in ogni modo di scrostarlo, ma non si può far nulla». Poi indica il soffitto e i muri delle altre stanze: pareti, pavimenti e finestre sono imbrattati. Ci mostra l’ultima stanza, l’ultima scritta, cioè «extra no». In terra giacciono i vestiti della moglie e le scarpette da calcio del figlio, ricoperte di vernice rossa. «Non so se è una buona idea venire ad abitare qui, inoltre non so in quale scuola iscrivere i bambini; l’Atc dovrebbe imbiancare questa settimana, ma ormai è tardi. A maggio ero felice, oggi ho paura».
D. ha domandato delle protezioni per il suo alloggio. L’Atc ha deciso di rimettere in sesto l’alloggio, l’affitto della pensione è pagato dal Consorzio socio-assistenziale, ma nulla riguardo alle grate da montare sui balconi.

Marco Viberti

Il capitano Nicola Ricchiuti: «Più “gelosia” che razzismo»

Conosce il caso di D.A.?
«Il 7 maggio abbiamo ricevuto la denuncia del signor D., immigrato e cittadino regolare. I nostri militari si sono recati sul luogo del reato: la sua casa era imbrattata completamente e le scritte sui muri erano chiaramente di natura minatoria».
Esistono delle misure precauzionali per questo tipo di episodi?
«Non siamo in possesso di prove; abbiamo preso atto della denuncia e monitoriamo la zona. Ma non possiamo garantire altro. L’Atc dovrebbe iniziare le pratiche per un trasferimento del signor D., perché oggettivamente è in una situazione critica, a rischio».
Si sono verificati episodi di ostentazione di razzismo in passato?
«A Scaparoni, qualche anno fa, una famiglia è stata sfrattata per via di una diatriba con l’Atc, ma si trattava di una revoca giustificata, nulla a che vedere con comportamenti razzisti. Sul nostro territorio si è mai verificato nulla di simile. Per questo motivo reputiamo improbabile attribuire il reato a un’organizzazione o a un fondamentalista xenofobo. Piuttosto siamo propensi a giudicare questo evento come una manifestazione di gelosia: per l’attribuzione delle case popolari esistono delle liste di attesa; considerando che i tempi di assegnazione sono lunghissimi, qualcuno potrebbe essersi sentito beffato: il colpevole (o un amico del colpevole) “scavalcato” da un extracomunitario, ha approfittato dello status sociale del signor D. per mettergli paura, al fine di ottenere egli stesso la casa». mar.vi.

L’Atc: «Cambiare alloggio è difficile»

Paola Gallo è responsabile dell’Ufficio relazioni pubbliche della Sezione cuneese dell’Agenzia territoriale per la casa, l’organo che gestisce l’assegnazione delle case popolari nella provincia. L’Atc di Cuneo con il Comune di Alba e il consorzio socio assistenziale di Alba, Langhe e Roero a luglio tenne una riunione per discutere delle problematiche legate alle case. Si parlò anche del caso D.
Come affronta l’Atc una tale situazione di disagio legata al razzismo?
«Considerando che il Consorzio socio-assistenziale di Alba ha provveduto al pagamento della pensione provvisoria del signor D., e data la mobilitazione diretta dell’Amministrazione comunale albese, emerge il corretto monitoraggio della condizione del caso. Crediamo che la situazione possa definirsi sotto controllo. D. ha deciso di abitare nella casa popolare».
Non sarebbe opportuno un trasferimento o un cambio di alloggio?
«Per un eventuale cambio di casa occorrerebbe scavalcare l’aspetto burocratico dell’assegnazione delle case, annullando le liste preesistenti. Qualora perverranno documentazioni e denunce, si potrà procedere con il trasferimento, ma si tratta di una procedura lenta, solitamente riservata ai portatori di handicap o di gravi malattie (si tratta per esempio di cambi dovuti alla presenza o meno di ascensore). Inoltre ad Alba non sono presenti alloggi disponibili». mar.vi.

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