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Le LACRIME di via Pola

Non vogliamo raccontare la città di sempre. Il gergo sarà fotografico: accosteremo due dipinti dalle cromature opposte, pennellati da artisti tra loro sconosciuti. La prima immagine è la quotidianità disperata del Centro di pronta accoglienza di via Pola. Ristrutturato, in tempo di recessione ha assunto regole più rigide. Aperto dalle sette di sera alle otto del mattino, garantisce una cena e un letto ad almeno trenta persone a notte. Di giorno la struttura rimane chiusa, gli ospiti devono provvedere a se stessi, vivere all’aperto tra panini, temperature rigide, improvvisazioni.

Arriviamo al Centro una sera d’inizio gennaio. Bussiamo. Ci accoglie don Luigi Alessandria, il prete che da anni si batte per garantire diritti ai deboli. Viso orgoglioso, temprato dagli ostacoli quotidiani, appena stanco. Sono le sette, si fa cena. Quando entriamo troviamo una situazione che non aspettavamo: una quarantina di persone, quasi tutte straniere. Perlopiù sono uomini, solo due o tre donne. Ci sono africani, tunisini, rumeni, bulgari, marocchini, qualche italiano. Ci presentiamo: «Siamo giornalisti».

Al segnale del cuoco gli ospiti scattano in fila, vassoio stretto. Carne, verdura, una minestra. Hanno fame, è tutto il giorno che sono fuori, all’addiaccio oppure ospiti di qualcuno. Ci sediamo con alcuni uomini. Volti rigati dalla fatica, espressione indurita di chi è costretto a limitarsi alla sopravvivenza, a rinunciare a qualsiasi desiderio. Con un pasto caldo sotto il naso le parole scorrono: la maggioranza non ha casa, non ha lavoro, una storia di carcere o di licenziamenti, di tossicodipendenza oppure di travaglio familiare, di emigrazione, di indigenza, di disagio psichico.

Ci raccontano una città difficile. «Un tempo si trovava lavoro, oggi è impossibile. Le grandi industrie non assumono stranieri, le occupazioni saltuarie sono diventate rarissime», spiega un tunisino di trent’anni. «Vivo da parecchio tempo ad Alba, ho imparato quattro mestieri. Non è stato sufficiente». Un altro ospite si avvicina, ci chiede aiuto per qualche scaramuccia. Ha sessant’anni, piange. Un volto anziano che piange dà la sensazione di un errore irrimediabile, di un meccanismo inceppato. Un altro ancora ci offre un caffè. L’ultimo chiede qualche spicciolo a don Gigi.  Ora siamo sul balcone, per fumare una sigaretta con loro. Fa freddo. Di fronte, la sagoma dell’hotel quattro stelle, che sovrasta la struttura di via Pola. È una metafora, che si commenta con ironia: «Metterò soldi da parte, potrei passare una notte là dentro. Poi torno al centro. Sarebbe una soddisfazione ».

Nonostante l’estrema indigenza, il mondo emotivo del gruppo e la capacità di vivere sono integre. Scambiano vissuti e autenticità introvabili nel resto della città. L’economia lascia il posto a un eterno presente, dove le parole e i gesti sono quelli che sono. Prima di andare qualcuno ci chiama. Ci scambiamo i numeri di telefono con la promessa di un imminente incontro. C’è molto da dire, da lamentare, da costruire. Usciamo dal centro nella serata di gennaio. Camminiamo cinquanta metri e poi ci voltiamo. In corso Langhe la struttura già non si vede più. Oscurata è pure la massa mastodontica e bellissima dell’hotel Calissano. Una sagoma nera cammina, lontana, per strada. Forse è il vecchio, che ha smesso di piangere. Si ferma davanti all’hotel, lo guarda, poi si gira e torna indietro.

Matteo Viberti

L’INTERVISTA

Don Gigi: «Situazione gravissima, tra disoccupazione ed esodo»

Don Luigi Alessandria è responsabile del Centro di pronta accoglienza di via Pola e della Caritas diocesana di Alba. Media tra la parte di popolazione debole della città e quella agiata, il suo è lavoro di cerniera tra disagio sociale e istituzioni politiche, tra disperazione e normalità. Lo incontriamo nell’ufficio di via Pola, mentre gli ospiti consumano il pasto serale.

Don Gigi, avete riaperto il rinnovato Centro di accoglienza dacirca un mese. Come va?

«La situazione in città è gravissima. Sempre più persone sono prive di abitazione, impossibilitate a pagare le bollette o i beni di prima sussistenza. Perciò, esistono strutture come la nostra: accogliamo chi non ha un letto in cui dormire o un pasto giornaliero. Al Centro di accoglienza abbiamo tre tipologie di utenza: i senzatetto, gli extracomunitari (la maggior parte dei quali ha un permesso di soggiorno umanitario), gli ex detenuti o scarcerati. Le richieste incrementano, la disponibilità si riduce. Quando l’atmosfera economica era più distesa, anche le strutture di soccorso funzionavano meglio. Oggi facciamo fatica a coprire la domanda, a garantire i servizi».

Che aria si respira?

«C’è frustrazione e tristezza, dovute soprattutto alla mancanza di lavoro. Parecchi ospiti sono relativamente giovani, vivono ad Alba da almeno vent’anni, hanno frequentato le nostre scuole, compagni di banco di albesi. Oggi non trovano occupazione oppure vengono assunti per 600 euro al mese. Mi chiedo come si possa vivere con simili cifre. Come si possa, immedesimandosi in un titolare, assumere a condizioni tanto svantaggiose».

Quale strada si prospetta per loro?

 «Sempre di più si delinea la via del ritorno a casa. Gli anni ’90 sono terminati, la ricerca di occupazione è diventata quasi impossibile per uno straniero con una storia difficile alle spalle. L’integrazione non è scontata, molta gente sceglie di riunirsi alla famiglia di origine, di ripercorrere in senso inverso la strada che un tempo li condusse in Italia colmi di speranza».

m.v.

Alba, SUITE imperiale

Il secondo dipinto è pennellato a colori sfavillanti, ricco di paillettes, mille miglia distante dall’informe disperazione di via Pola. Le cromature abbagliano anche da lontano. Forse il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg acquisterà o ha acquistato il castello di Lavezzole, nell’astigiano, per otto milioni di euro, dopo averlo visitato durante il viaggio di nozze, mentre il rapper americano Jay-Z, sbarcato a Barolo per due giorni, ha speso decine di migliaia di euro per qualche bottiglia di vino e una borsa di tartufi.

Ma non è necessario raccontare le storie dei vip internazionali o delle star per rendere giustizia alla luminosità del dipinto. Siti Internet come Tripadvisor. com, ad esempio, brulicano di testimonianze di turisti o albesi stessi che vivono esperienze fuori dalla realtà comune. Racconta un avventore di un ristorante stellato albese: «Alcune portate si sono dimostrate superlative: penso a porcini e lingue d’anatra, al cavolo nero e piccione (il mio preferito), alla crema di rapa. Il menù era proposto a 180 euro a persona, cui vanno aggiunti i vini (e qui occhio a quello che bevete, è un attimo arrivare a 250-300 euro a persona). Ma la spesa va considerata non come il corrispettivo per una cena, ma come quello di una coccola».

Da un fiammante hotel quattro stelle spiegano: «Le prenotazioni delle camere ordinarie ma anche di quelle più costose (la suite può arrivare fino a 250 euro a notte) risultano in costante incremento. Tra pernottamenti turistici e viaggiatori spinti da ragioni lavorative non ci possiamo lamentare: nell’ultima settimana abbiamo occupato almeno cinque o sei suite. A fine anno abbiamo registrato il tutto esaurito. I pacchetti di due o tre notti, compresa la cena di capodanno, arrivavano fino a 400 o 500 euro. I costi sono peraltro proporzionati alla qualità del servizio fornito».

Infine, parliamo con il titolare di un negozio di abbigliamento del centro. È soddisfatto. Racconta che un cliente è entrato per fare un regalo alla fidanzata: non sapeva che cosa scegliere, nel dubbio ha speso oltre mille euro tra giacca, scarpe e un paio di vestiti da sera. Ha detto: «Tra tutta questa roba, almeno uno le piacerà».

C’è un abisso tra il primo e il secondo dipinto – ma il quadro va raccontato con la durezza della verità –, effetto mixato di un determinato ordine sociale, di scelte politiche, anche di omertà e reticenza individuale. Nel mezzo, ci sono la maggioranza delle famiglie, dei giovani, degli anziani, delle persone che cercano di non cadere nelle trappole della povertà e non si permettono i lussi dei quattro o cinque stelle. Di queste parliamo ogni giorno. Raccontare per dipinti ci è sembrato utile a incrementare la consapevolezza collettiva. Un giorno, forse, si potrà stendere un filo tra alto e basso, assenza e abbondanza.

m.v.

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