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Il direttore risponde (7 maggio)

«Fino a che non si pensa a un progetto di Paese…»

Gent.mo sig. Direttore, ho letto con grande interesse la lettera della mia cara amica Marta Giovannini, e provo a rispondere da ex figura di terza fila di chi si è illuso che la “destra” liberale e contemporaneamente sociale potesse avere una sua dignità. Cara Marta, se tu avessi vissuto dal punto di vista politico gli ultimi 40 anni, avresti scoperto, ben prima di oggi, che la sinistra è ferma, ideologicamente, alla rivoluzione di ottobre del 1917. Temo che chi non vuole accettare la situazione siano i renziani. Tu e i tuoi amici, siete, nel PciPdsDsPd, un corpo estraneo, a differenza dei vari Fassina e Barca. Triste sorte quella della politica italiana. Ha cominciato ad agonizzare alla fine degli anni ’60 fino all’esalazione dell’ultimo respiro dei giorni nostri. La classe politica che ci ha governati in questi ultimi quarant’anni ha avuto come obiettivo la sola autoconservazione: non ha sviluppato il benché minimo progetto, non ha saputo o voluto immaginare un futuro, non ha creato il ricambio della classe dirigente. La rielezione di Napolitano è il sigillo di tale incapacità. Di fronte alle trasformazioni epocali che stanno ancora rivoluzionando il panorama internazionale sempre più globalizzato, la politica italiana si è arroccata sugli interessi dei pochi. Ognuno ha fatto la sua parte. I sindacati hanno pensato, invece che al lavoro, ai posti di lavoro con una rigidità di pensiero e azione che sono servite paradossalmente solo ad uccidere le imprese e, di conseguenza, i lavoratori. Il mondo dell’impresa ha cercato tutti i compromessi possibili per evitare il confronto con la competitività cercando nel monopolio e negli arroccamenti doganali la sua sopravvivenza. La classe politica ha cercato di conservarsi spartendosi la torta delle ricchezze del Paese indebitando gli italiani. Una classe politica ingessata e arrogante. La risposta dei grillini è palese. A fronte di una giusta protesta, la proposta offre soltanto confusione e incapacità conclamate. Nessuno ha pensato a come contenere gli effetti di una globalizzazione selvaggia come quelle che ci è stata propinata. Come se ne esce? Non lo so. Oltre a sentirmi parzialmente complice, pur inconsapevole e per tempo limitato, sono troppo disilluso e pessimista per essere sereno nel pensiero. Renzi può essere una risposta? Forse. Molti, come me, disgustati e delusi dall’attuale centrodestra lo osservano con attenzione. Certo certi suoi atteggiamenti come il continuare a restare nel Pd e certe sue liaison dangereuse con alcuni settori dell’economia lasciano perplessi se non preoccupati. Io, al momento, sono più vicino ai montiani. Cara Marta, ribadisco la mia convinzione: fino a che non si pensa a un progetto di Paese, a un obiettivo concreto e misurabile, fino a che non si capisce che il mondo non finisce ai confini del proprio paesello, siamo destinati al crollo morale ed economico. Renzi o non Renzi.

Bruno Manno

Non entro nel dibattito tra renziani e montiani o tra destra e sinistra. Questo è uno dei problemi della politica così com’è intesa a livello popolare: la si confonde con l’adesione a questo o a quel partito, con lo schierarsi da una parte o dall’altra. E per cosa? Per ottenere benefìci o mantenere privilegi. Il problema non è dunque solo di una classe politica che ha fatto dell’autoconservazione il proprio obiettivo o che, in certi casi, ha solo cercato i propri interessi. Talvolta solo bassi interessi. Il problema è più ampio e riguarda la mentalità che ci accomuna. Ci sono responsabilità a tutti i livelli, e chi ha guidato il Paese, soprattutto negli ultimi vent’anni, ne ha molte di più della gente comune. Tuttavia è una questione di cultura, di idee, di apertura mentale per capire, come scrive Manno, che il mondo non finisce ai confini del proprio paesello. Come ricostruire soprattutto moralmente, negli ideali, il nostro Paese? Premesso che anche la Chiesa ha le proprie responsabilità, riporto alcune espressioni che possono essere utili per riflettere. La prima è di Giovanni Paolo II: «Quale civiltà si imporrà nel futuro del pianeta? Dipende infatti da noi se sarà la civiltà dell’amore, come amava chiamarla Paolo VI, oppure la civiltà – che più giustamente si dovrebbe chiamare inciviltà – dell’individualismo, dell’utilitarismo, degli interessi contrapposti, dei nazionalismi esasperati, degli egoismi eretti a sistema». Scriveva Benedetto XVI: «Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodottomaci viene donato. […] Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze […] di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace». Il futuro dell’Italia, in parte, dipende dalle decisioni quotidiane di ciascuno di noi.

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