PIOBESI La biblioteca comunale ha proposto una serata dedicata, a 70 anni dalla fine della guerra di liberazione, alle memorie degli anziani, che hanno spiegato ai nipoti e ai bambini la quotidianità di quei giorni. Attiva e lucidissima Angela Saglia, classe 1924, nata in paese.
Angela, che cosa ricorda di quel periodo?
«Si viveva la quotidianità del terrore. La guerra l’ho sentita eccome, era impossibile non accorgersi dei continui controlli, degli infiniti posti di blocco, dei rastrellamenti. Nazisti e fascisti cercavano coloro che erano tornati dalla guerra, e non volevano più partire, ma pure chi non c’era ancora stato, oppure i partigiani. Si prestava un’attenzione maniacale a quello che si diceva o faceva e ricordo perfettamente il coprifuoco alle 18, quando ci chiudevamo in casa e tiravamo le tende, rigorosamente scure, affinché non si vedessero le luci delle case dall’esterno».
Per lei quale fu l’evento più tragico di quegli anni?
«Ricordo con infinita tristezza l’ultima volta che vidi mio fratello, Antonio, appartenente al secondo reggimento alpino. Io e mia sorella Paola andammo a Dronero per salutarlo e fu lui a dirci che non ci saremmo mai più rivisti. Partiva per la Russia con uno spirito diverso rispetto alle guerre precedenti, sapeva che il freddo non sarebbe stato sopportabile. L’ultima lettera che arrivò era datata 14 marzo 1943. Da lì in poi il silenzio».
Non ebbe più notizie?
«Sì, le ebbi. Ogni qualvolta venivo a conoscenza che qualcuno del circondario arrivava dalla Russia partivo a piedi per cercare notizie. Fu un soldato di Sanche (Vezza) a dirmi che Antonio, avendo i piedi congelati, fu costretto a ritirarsi in un capanno. Morì solo. Non dissi mai la verità a mia madre, preferivo morisse con la speranza che suo figlio tornasse».
Come fu la ripresa del dopoguerra?
«Non circolava denaro e le case erano disastrate, ognuno cercava di riprendersi come poteva, lavorando sodo. Mi collego e dico ai giovani di oggi che il benessere e il lavoro non li andranno mai a cercare: adattatevi ai tempi, sporcatevi le mani e non risparmiate la fatica».
Francesca Gerbi