Il vino sta diventando sempre più globale

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L’INTERVISTA Il futuro del vino della nostra regione passa anche dalla Vignaioli piemontesi, l’associazione che ha mosso i primi passi sul finire degli anni Settanta come Piemonte asprovit e che, attraverso vari stadi di sviluppo, ha raccolto una base associativa di grande rilievo, fino a rappresentare il 30% del vigneto e del prodotto di tutta la regione. Dal 1997 la presiede Giulio Porzio, 48 anni, viticoltore di Rocchetta Tanaro, che da allora ha visto evolversi il mondo vitivinicolo piemontese e italiano. Con Porzio abbiamo fatto il punto sul futuro del vino piemontese, alla luce di un mercato sempre più globale e delle dinamiche di settore regolate dall’Unione europea, che non sempre condivide le attese dei nostri produttori.

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Il Consiglio direttivo della Vignaioli piemontesi.

Com’è cambiato il vino dal ’97 a oggi e come si è trasformato il ruolo della Vignaioli piemontesi?

«Il vino oggi vive di dinamiche sempre più globali, con un mercato che ha via via amplificato le sue dimensioni. Gli impianti vitati che, ad esempio, stanno crescendo in Cina e in altri Paesi a bassa tradizione rischiano di modificare i rapporti tra Paesi produttori e consumatori. Anche il ruolo della Vignaioli piemontesi è profondamente mutato. Eravamo una società che gestiva servizi e attività legate spesso a finanziamenti pubblici, oggi conduciamo in prevalenza iniziative di tipo economico, con forti legami con il mercato».

Questo cambio di pelle è legato anche alla trasformazione della base associativa e, in generale, del tessuto aziendale del mondo del vino.

«È evidente che anche il comparto produttivo si è evoluto: le aziende hanno ampliato la superficie e l’attività produttiva e il loro numero si è gradatamente ridotto. È stata una selezione naturale legata anche a esigenze distributive che richiedono maggiore professionalità e capacità di rispondere alle necessità degli acquirenti. La nostra risposta è stata orientata alla creazione di servizi molto professionali, per supportare le aziende associate in vari comparti, dalle questioni normative alla selezione di partite di vino, dalle campagne di promozione alla distribuzione in ambito del mercato in bottiglia».

Un tessuto associativo così ampio (401 soci con 37 cantine cooperative e 364 aziende vinicole) cosa chiede alla Vignaioli?

«Innanzitutto di essere costantemente sul tema: da un lato tenere sotto controllo le regole produttive (i disciplinari) accompagnandole nel costante adattamento alla realtà. Le opportunità normative vanno colte al volo. Emblematico è il caso del Piemonte Barbera appassimento: è stata la Vignaioli a intercettare le opportunità di business e a veicolarle sulle aziende che potevano essere protagoniste, aiutandole nel realizzare il progetto produttivo. Adesso è un elemento assodato, che va aiutato a crescere, sorvegliando che la realtà sia coerente con la progettualità».

Recenti studi sulla cooperazione piemontese hanno messo in evidenza come esistano ancora alcune realtà che meriterebbero una concreta ristrutturazione. Cosa avete in programma?

«È vero. Alcuni organismi avrebbero bisogno di una mano per risolvere problemi contingenti, che rischiano, se non affrontati, di minare la stabilità delle aziende. Stiamo valutando la situazione caso per caso: l’obiettivo è di fare in modo che questi “anelli deboli” sappiano fare la scelta migliore (fusione, accorpamento, collaborazione). Cercheremo, insieme agli interessati, la strategia affinché queste strutture possano creare la giusta redditività per sé e per i propri associati».

Giancarlo Montaldo

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