INTERVISTA Doppia replica al Sociale di Alba, il 20 e 21 dicembre, del celebre trasformista
Il mitico ciuffo, ritto in testa come un fuso, lo ha ereditato dal folletto Puck, che interpretò in Sogno di una notte di mezza estate. È il suo tratto distintivo, insieme agli occhi vispi e al sorriso spiritoso, «un po’ angioletto e un po’ diavoletto», come dice lui. Arturo Brachetti ha la capacità di trasportare in una dimensione illimitata, come solo l’arte e la fantasia sanno essere. La sua è una «carriera al di là dei sogni», iniziata a Torino, dove al Seminario dei Salesiani incontra don Silvio Mantelli, prestigiatore con il nome di Mago Sales, originario di Novello. A vent’anni Arturo è a Parigi, sul palco del Paradis Latin, il tempio del varietà, dove riporta in auge l’antica arte del trasformismo. Dopo Leopoldo Fregoli negli anni ’30, nessuno si era spinto a tanto. Il “folletto torinese” cambia costume in scena in meno di due secondi, riuscendo a interpretare fino a cento personaggi in una sola serata, caratterizzati in ogni minimo dettaglio. Questa sera (martedì 20 dicembre) e domani sarà ad Alba, al teatro Giorgio Busca, con il nuovo spettacolo, Solo.
Brachetti, presenti Solo.
«È un vero e proprio assolo, un one man show, dove porto in scena i miei cavalli di battaglia, come le ombre cinesi, il mimo, i disegni sulla sabbia o il raggio laser. Potrebbe essere definito un varietà magico surrealista, senza una vera narrazione, se non un filo conduttore che accompagna le mie trasformazioni. Si tratta di una casetta delle bambole: ogni stanza rappresenta un aspetto della nostra vita, dall’innocenza al tempo, per poi finire con quella della fantasia. È un connubio fra tradizione e tecniche multimediali, come il video mapping, con programmi di altissimo livello. Durante i 90 minuti di spettacolo, mi cambio d’abito 50 volte, volo e sparisco, con un ritmo sorprendente. Il fine del teatro è la meraviglia, come diceva Niccolò Machiavelli».
Com’è realmente il mondo del varietà, dall’interno?
«È una dimensione di grande lavoro. Dietro le quinte non c’è trucco, tutto si basa sull’organizzazione e sulla concentrazione. Nonostante il mio repertorio comprenda 350 personaggi, mi sono mai perso durante uno spettacolo, se non quelle rare volte in cui sono stato malato. È stato sufficiente, in quei casi, uscire di scena e chiedere ai miei collaboratori: “Chi sono adesso?”. Ovviamente, occorrono anche dei sacrifici, come fare molta attività fisica, per mantenersi snelli: questo è il vero trucco».
La predisposizione alla magia è un dono innato per pochi?
«La magia è un bisogno naturale di ogni uomo. È il desiderio di capire tutto ciò che non possiamo gestire con i poteri umani, tanto da rientrare nel metafisico. Tutti vorrebbero staccarsi dalla terra, volare, sparire o assumere le sembianze di un’altra persona: con la magia si può, con la realtà è impossibile».
Sul numero di Gazzetta in edicola, l’intervista completa al grande artista torinese.
Francesca Pinaffo