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Daniel Alvarez, l’uomo che scopre il mondo con i piedi

Daniel Alvarez, l’uomo che scopre il mondo con i piedi 1

AVVENTURA «Sono qui, ai piedi della cattedrale di San Lorenzo. Ho la barba lunga, un piumino azzurro e un enorme zaino giallo». Daniel Alvarez, trentacinque anni, nato a Tallahassee, capitale della Florida, dopo essere partito a giugno da Capo Nord (Norvegia) e aver percorso a piedi 3.122 chilometri – attraverso Norvegia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania e Svizzera – è arrivato in Italia, ad Alba precisamente, su consiglio di alcuni amici appassionati di enologia. Ha superato la metà del suo percorso, ma ad attenderlo ci sono ancora 1.500 chilometri, quelli che lo separano dalla meta: Tarifa, in Spagna, che raggiungerà, sempre a piedi, entro il mese di aprile, passando per la Francia.

Daniel Alvarez, l’uomo che scopre il mondo con i piedi

 

Il suo obiettivo? Attraversare, un passo dopo l’altro, tutta l’Europa continentale, dal punto più settentrionale al più meridionale, dalle gelide falesie scandinave allo stretto di Gibilterra. Nel mezzo, c’è tutto il Vecchio continente e un’infinità di volti, storie, paesaggi e modi di vivere.

Daniel osserva la realtà, la documenta con foto e brevi racconti, che pubblica quotidianamente sul suo blog (predictablylost.com). Percorre fino a quaranta chilometri al giorno, per poi fermarsi non appena fa buio, piantare la tenda nel primo campo senza divieti, prepararsi da mangiare e dormire fino alle prime luci del mattino.

Ma chi è questo amante dell’avventura, che ha scelto di sperimentare la forma più estrema di viaggio? «Sono un avvocato», esordisce Daniel Alvarez. «Dopo essermi laureato e aver esercitato la professione a San Francisco, mi sono reso conto che quella non era la mia vita. Dovevo fare qualcosa, così ho iniziato a camminare».

E di strada ne ha fatta dal 2004, attraverso i più importanti percorsi escursionistici americani: il sentiero degli Appalachi (3.510 chilometri), il Pacific crest trail (4.286 chilometri) e il Continental divide, quasi 5mila chilometri che collegano il Messico al Canada. Sorride un po’ nostalgico, mentre racconta il primo vero viaggio della sua vita: «Avevo solo dieci anni, quando mia madre mi portò nel Grand canyon, per un’escursione di quattro giorni. Avevo paura e non volevo scendere dalla macchina, così mi minacciò di lasciarmi solo: mi sono messo in marcia».

Oggi lo zaino di Daniel è la sua casa, con l’essenziale per sopravvivere: «La tenda, un fornellino da campo e qualche cambio: come nella vita, è importante essere leggeri e sbarazzarsi del superfluo». Cammina per sé stesso, Daniel, senza sponsor e senza clamore, evitando le grandi città: «Voglio essere libero e contare solo su me stesso. Per finanziarmi, tra un viaggio e l’altro, lavoro. Durante il tragitto, tengo un basso profilo, spendendo circa 600 dollari al mese per il cibo e per le necessità urgenti, come le scarpe». Modesto fino in fondo, si sente un ragazzo normale, con il coraggio e la fortuna di scoprire il bello della vita: «Brutte esperienze? In realtà non ne ho avute. Mi capita spesso, invece, di incontrare persone che mi offrono un letto, un pasto o che decidono di camminare un po’ con me. Malgrado le differenze proprie di ciascun Paese, c’è una disponibilità di fondo che ci unisce tutti».

Così si congeda da Alba il giovane esploratore, con lo zaino in spalla. Good walk, Daniel. Buona camminata.

Francesca Pinaffo

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