La mostra di Gianni Del Bue a Dogliani aperta fino a domenica

La mostra di Gianni Del Bue a Dogliani aperta fino a domenica

ARTE Prosegue fino a domenica 28 maggio la mostra di Gianni Del Bue intitolata Dialoghi liquidi nel museo Giuseppe Gabetti di Dogliani (orario: dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19 al sabato e alla domenica). Di seguito pubblichiamo la recensione di Valerio Santi di Narzole

Gianni Del Bue è l’artista più “glocal” che abbia conosciuto. Il suo essere globale lo dimostra la sua biografia di vita e di espressione artistica. Nasce a Reggio Emilia e a metà degli anni Sessanta si trasferisce a Torino, ove, in piena avanguardia, conosce artisti di fama. Negli anni ’90 si trasferirsce a Naviante di Farigliano, ove tuttora vive e lavora, con realizzazioni  che poi raggiungono le più prestigiose sedi d’esposizione in Italia ed all’estero.

Del Bue riesce a far convivere la ventata, se vogliamo “global”, della contro-figurazione anni ’60, anni della sua prima formazione artistica, con un uso parsimonioso della stessa, se vogliamo solo di contorno ad un paesaggio unico e autentico, descritto con il tratto e la comprensione del luogo «in cui poggiano i nostri piedi»; ne scopre e ne rispecchia nelle sue tele la radicata cultura del vino, la risorsa enogastronomica, la fervida intelligenza dei vignaioli. È un paesaggio intriso di storie e narrazioni. Ogni versante collinare, dal più al meno abbozzato, nasconde un enigma; ogni filare, per dirla con il Carlo Petrini, elabora una magìa.

Dal Tanaro al Mincio

Dal Tanaro al Mincio (abbiamo ancora memoria della mostra al Palazzo Te a Mantova dell’anno scorso) quello di Del Bue  è un rapporto indiretto con la realtà: è dotato di un filtro immaginativo, fantastico, fabulistico, a volte quasi mitopoietico, che da quella realtà, proprio perché a lui sì cara, si distanzia.

Il suo quadro è lo schermo di una proiezione luminosa, prima di tutto interiore,  che l’artista sa far vibrare espressivamente con quella solo sua luce in trasparenza, prim’ancora che di colori tonali, che rende diafani e timbrati i colori, che sospende a mezz’aria gli scuri, che permette la sovrapposizione dei toni diversi come coinvolgenti velature. La tecnica della sua pittura si innesta su studio ed espressione di memorie quattrocentesche che vanno dal Signorelli a Piero della Francesca.

La modernità si aggancia poi su questo lirismo antico tramite personaggi, pensatori o perdigiorno che costellano le nostre e le sue giornate quotidiane, (ecco allora i Dialoghi liquidi del titolo della mostra) dove, insieme all’ironia, si respira anche molto sarcasmo, antidoto alla società liquida espressa dal Bauman, che lambisce anche i greti del Tanaro e del Mincio.

Alla fine, quindi,  il vero fil rouge di collegamento è la sua storia, l’approccio dell’artista a una natura ancora incontaminata, le sue relazioni, il suo modo di intendere pittura, vita e poesia come un unicum che ne ingaggia poi la prosa.

Il barlume che accende la fantasia prorompente di Del Bue è tutto  nel suo sguardo ancora ingenuo, da vero artista, su terra e società, rapito ancora dalle storie di chi su quella terra si è appoggiato, ha lavorato e non ha mai tradito. Le sue ultime tele sono capaci di unire Langa e Mantovano, le loro diverse geografie, le loro più umili, eterogenee storie, le trame d’acqua e di pensiero dal Tanaro al Mincio, in un caleidoscopio di sane avventure, prima ancora che di tele dipinte.

Valerio Santi

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