Se Cristo riempie la nostra vita perché non dirlo?

UN PENSIERO PER DOMENICA – 15 LUGLIO – XV TEMPO ORDINARIO

Al centro delle letture di domenica c’è la missione, vista non come scelta personale, ma come risposta a una chiamata di Dio. Chi cerca di leggere l’esistenza con gli occhi di Dio, scopre che all’origine delle grandi scelte di vita c’è sempre una realtà che ci interpella, una chiamata. A essa deve seguire una risposta!

La missione ci mette in strada. Gesù non faceva niente da solo: andava nei villaggi insegnando insieme ai dodici. Un giorno cominciò a mandarli avanti da soli. Marco (6,7-13) descrive con precisione questo momento, evidentemente preparato e svolto con metodo. I discepoli vengono mandati a due a due, nelle case, a incontrare le famiglie, con particolare attenzione ai malati: poveri in mezzo ai poveri, per condividere i problemi della gente, non per giustificare le cose come sono ma per cambiarle. Anche oggi la missione nasce perché il presente non ci basta: avvia un processo di conversione permanente e ci fa camminare in avanti. Anche l’andare a due a due contiene un preciso messaggio: la comunione tra i discepoli è testimonianza, in un certo senso è già missione.

Se Cristo riempie la nostra vita perché non dirlo?
Gesù conferisce la missione agli apostoli (da una miniatura del XV secolo, Biblioteca braidense).

La missione può conoscere il rifiuto e la critica. Lo mostra la vicenda del profeta Amos (7,12-15), vissuto nel regno del Nord, in una fase storica di ricchezza decadente, con profonde ingiustizie sociali. L’uomo di Dio si scontra sia con il potere politico sia con quello religioso, che cercano di zittirlo. In questo brano, leggiamo che il sacerdote Amasia ordina ad Amos di andarsene dal tempio di Bethel. Il profeta gli oppone la storia della sua vocazione: abbandonare il gregge e il lavoro nei campi per mettersi a predicare non è stata una sua scelta, ma la risposta a una chiamata del Signore. È questo che lo autorizza a parlare a nome dei poveri e degli esclusi. La caduta del regno, travolto, pochi anni dopo, dall’avanzata della potenza assira, mostrerà che Amos aveva ragione.

Chi è chiamato deve ringraziare. Nell’introduzione alla lettera agli Efesini (1,2-14), l’apostolo Paolo, il chiamato per eccellenza, si abbandona a un inno di ringraziamento al Signore che l’ha convocato alla vita, alla santità e a condividere il progetto salvifico di Gesù Cristo. Anche oggi la fede è un dono prezioso, di cui rendere grazie e da condividere. La radice ultima della missione è qui: se la fede in Dio e l’adesione al progetto di vita di Gesù rendono più bella e più piena di senso la nostra vita, perché non farne partecipi gli altri?

Lidia e Battista Galvagno

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