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Non sappiamo più distinguere il bene dal male

Razzismo e Cristianesimo non si conciliano neanche a Natale 4

Auguri insoliti, quelli che il ministro dell’Interno ha fatto il giorno di Pasqua. Una foto di Matteo Salvini col mitra in mano scatena polemiche e indignazione. A postarla in rete è il suo guru Luca Morisi, che ne cura l’immagine sui social. Ed esalta il “capitano” con parole al limite dell’istigazione: “Siamo armati e dotati di elmetto! Avanti tutta”. Sconcertante delirio di onnipotenza. Ma non è sbagliato solo il gesto. È offensiva la scelta del giorno. E non soltanto per i credenti. Una squallida provocazione, mentre si celebrava il Cristo risorto, il Vivente, cuore della fede e della tradizione cristiana.  “Colpisce la leggerezza e la superficialità”, ha denunciato Pax Christi. “Cosa si vuol comunicare con una foto del genere? Non certo dialogo e rispetto dell’altro”.

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Nello stesso giorno, purtroppo, una strage di cristiani in Sri Lanka, per attentati durante la messa, ha reso ancor più esecrabile il gesto di Salvini. E ha svelato quanto cinismo ci sia nel passare, con disinvoltura, dal Vangelo e dal rosario esibiti nei comizi agli auguri pasquali col mitra in mano. Eppure, il vicepremier leghista raccoglie ampi consensi. Inclusi quelli di tantissimi cattolici, abbindolati da una becera, seppure abile, strumentalizzazione della religione e dei suoi simboli. Salvini che si scaglia contro gli immigrati fa più breccia tra i credenti rispetto al Papa che invita all’accoglienza. Così, almeno, dicono i sondaggi.

Francesco è lasciato solo nella sua ostinata speranza di abbattere i muri d’odio. Per   costruire, invece, ponti di pace. L’accusano di farsi strumentalizzare dai musulmani. O d’essere stato timido, quasi reticente, nel condannare la strage dei cristiani in Sri Lanka. Chi non lo vede di buon occhio, anche tra i cattolici, gli rimprovera le eccessive aperture all’Islam. E mal sopporta tanti suoi gesti. Come baciare i piedi ai politici del Sud Sudan, mentre li implora di adoperarsi per la pace. O firmare, ad Abu Dhabi, il “documento sulla fraternità” assieme al Grande Imam, per condannare ogni forma di guerra e terrorismo. O, ancora, sottoscrivere con il re del Marocco l’appello per la città santa di Gerusalemme: patrimonio comune dell’umanità e delle tre religioni monoteiste; “luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica”.

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Anche gli auguri pasquali di Francesco, per la benedizione Urbi et orbi, sono passati in sordina. Eppure, le sue, erano parole “pesanti”. Da scuotere le coscienze. «Davanti alle tante sofferenze del nostro tempo», ha detto, «il Signore della vita non ci trovi freddi e indifferenti. Faccia di noi dei costruttori di ponti, non di muri. Faccia cessare il fragore delle armi, tanto nei contesti di guerra che nelle nostre città. E ispiri i leader delle nazioni affinché si adoperino per porre fine alla corsa agli armamenti e alla preoccupante diffusione delle armi, specie nei Paesi economicamente più avanzati».

Sarà stata una pura coincidenza, ma nella settimana di Pasqua è giunta a compimento la legge sulla legittima difesa. Uno dei cavalli di battaglia del leader leghista. Un caposaldo della sua propaganda politica, che specula sulle paure della gente. E anche su qualche inefficienza dello Stato nel proteggere i cittadini. Una legge, quella promossa da Salvini, da molti definita inutile e pericolosa. Inutile perché la legittima difesa esisteva già. Pericolosa perché incita i cittadini ad armarsi e a farsi giustizia da sé stessi. Questa legge dà licenza di uccidere. Apre le porte a una società del Far West, dove è lecito sparare sempre. E disconosce lo Stato di diritto, oltre che la dignità della persona.

«Non abbiamo bisogno di leggi-manifesto e di leggi promotrici di paura», ha scritto monsignor Ricchiuti, presidente di Pax Christi. E ai politici ha lanciato un appello: «Alla possibile guerra di tutti contro tutti, opponete l’idea di una sicurezza comune garantita dalle leggi, dagli strumenti del diritto, dalla prevenzione, da una cultura lontana dalla logica del nemico». Nel Paese, purtroppo, dilaga una deriva culturale violenta e armata, che genera odio e rancore. Fino al razzismo. Una deriva che trova una debole opposizione. Anche all’interno della Chiesa. Si avalla un clima di pericolo e di paura. Sebbene, in questi ultimi cinque anni, furti e rapine nelle abitazioni siano diminuiti. Così anche i delitti e gli omicidi.

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Stesse preoccupazioni ha avuto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel promulgare la legge sulla legittima difesa, ponendo la sua firma nell’ultimo giorno a disposizione. Ma ha voluto accompagnarla con una lettera al premier e ai presidenti di Camera e Senato. Per ribadire, soprattutto, che «la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela dell’incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle forze di polizia».

Un duro monito. Paletti ben precisi, a definire i contorni della legittima difesa. Di fatto, la “sconfessione” di una legge solo propagandistica, che renderà persone e Paese più insicuri. A Vittorio Veneto, lo scorso 25 aprile, per celebrare la festa della liberazione (che non è un “derby” tra fascisti e comunisti, come ha volgarmente detto Salvini), il presidente Mattarella ha rincarato la dose: «La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva».

Ma c’è un’altra coincidenza, poco evidenziata, che denuncia una crescente insensibilità ai valori. E uno smarrimento collettivo che affonda le sue radici nell’egoismo e nella società dei consumi e dell’apparire. Il venerdì santo, da tradizione, è giorno di lutto per la Chiesa, che ricorda la passione e morte in croce del Signore Gesù. Giorno mesto, aliturgico. Non si celebra l’eucaristia. Le campane tacciono. Nel Paese è un susseguirsi di sacre rappresentazioni, alcune molto note come i “misteri” di Trapani. Un tempo, al venerdì santo, si chiudevano le sale da cinema. Musiche e canti erano banditi. C’era un clima di raccoglimento, di rispettoso silenzio.

Per la settimana santa, a Roma, l’appuntamento più atteso è sempre stato la Via crucis al Colosseo col Papa. Quest’anno, Francesco ha affidato le meditazioni a una missionaria ottantenne, suor Eugenia Bonetti, presidente dell’Associazione Slaves no more (Mai più schiave). Da anni suor Eugenia si occupa della tratta di esseri umani. Una delle peggiori schiavitù moderne, che coinvolge migliaia di ragazze anche minorenni, soprattutto immigrate africane, nel turpe mercato del sesso a pagamento. A disposizione, nelle strade, di milioni di clienti italiani. Tanti bravi papà di famiglia che, per lo più, si dichiarano cattolici.

La coincidenza?  Mentre su Rai 1, andava in onda la diretta televisiva al Colosseo sulla “via dolorosa”, e si ricordavano i “nuovi crocifissi della storia d’oggi”, Canale 5 trasmetteva, in contemporanea, Ciao Darwin. Un programma trash, zeppo di battutacce e doppi sensi, con belle ragazze più che discinte. Una sgradevole stonatura. Quella puntata, il venerdì santo, si poteva evitare. Nel rispetto del sentimento religioso di milioni di italiani. È prevalsa la dittatura dell’audience. Schiavi degli indici di ascolto. Così, l’indomani, qualche giornale ha potuto titolare: “Ciao Darwin batte la Via crucis in mondovisione”.  Nessuna remora c’è stata, invece, a rimandare ad altra data la puntata del 26 aprile. Quale la ragione? Per “non privare i telespettatori del loro programma preferito nel periodo di feste”, Cioè, nel “ponte” dal 25 aprile al 1° maggio. C’è più rispetto, quindi, per i dati di ascolto che verso una secolare tradizione religiosa, tanto cara agli italiani.

Certo, oggi la società non è più cristiana come in passato. I cattolici non sono più maggioranza nel Paese. La gente non accorre più a messa, la domenica, al semplice suono delle campane. C’è indifferenza verso la religione. Che Dio esista o meno, è la stessa cosa. Soprattutto per i millennials, i ragazzi nati dopo l’anno 2000.  Quella “prima generazione incredula”, come l’ha definita il teologo don Armando Matteo.  Si vuole estromettere Dio dalla società. Ma una società senza Dio non è senz’altro migliore.

Non sappiamo più distinguere il bene dal male

A questo smarrimento etico si può far risalire quanto avvenuto, nei giorni scorsi, a Manduria, in provincia di Taranto. Quattordici ragazzi, per lo più minorenni, per anni hanno “bullizzato”, minacciato e picchiato un pensionato di 66 anni, Antonio Stano, detto “il pazzo”. Fino a procurarne la morte. Il tutto ripreso e diffuso su Whatsapp, per ridere e divertirsi.  O per passare il tempo. Un balordo gioco di ragazzini, forse già annoiati della vita. Una barbarie prolungata, nell’indifferenza di chi sapeva e ha taciuto. E nell’estraneità di famiglie, che non conoscono più nulla dei propri figli. I nostri ragazzi, ormai, non sanno più distinguere il bene dal male.  È questa la società che vogliamo?

Antonio Sciortino,
già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

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