Chi ci salverà dal pifferaio magico?

Razzismo e Cristianesimo non si conciliano neanche a Natale 4

L’editoriale di don Antonio Sciortino

Un dato, alle ultime elezioni europee, è risultato davvero sconvolgente. Almeno per chi ha, ancora, il Vangelo come punto di riferimento per le scelte della propria vita. Secondo l’istituto di ricerche Ipsos, un cattolico praticante su tre ha votato Matteo Salvini, leader di quella Lega che, qualche anno fa, adorava il “dio” Po, si sposava coi riti celtici, minacciava i “vescovoni” di lasciarli a piedi nudi, privandoli dell’8xmille, e, in modo sprezzante, definiva Giovanni Paolo II “papa extracomunitario”. In un anno, quest’ultimo, la Lega è diventata il primo partito tra i praticanti della Messa domenicale.

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Verrebbe da attribuire al Paese, quanto ebbe a dire, anni fa, un giovane prete bresciano, don Fabio Corazzina, della sua città. «Che sta succedendo all’Italia? Anche nelle parrocchie, tra preti e religiosi, sta crescendo una cultura ben lontana dal Vangelo: si raccolgono firme per difendere il crocifisso, ma lo si brandisce come una spada. Tolleriamo e votiamo leggi inique e mettiamo a tacere la coscienza. Ci lamentiamo dei silenzi e delle connivenze della Chiesa, ma anche noi non brilliamo per fede adulta. Pretendere sicurezza, giustizia e legalità non ci esime dal dovere dell’ospitalità e dell’accoglienza».

C’è un evidente scollamento tra la coscienza di fede e le scelte politiche. Così come la difesa della “civiltà cristiana” è in contrasto con la promozione della fede. Di fronte all’uso strumentale dei simboli religiosi, annota il teologo Severino Dianich, «i pastori della Chiesa devono prendere atto che sono messi in discussione gli insegnamenti fondamentali del Vaticano II sulla libertà religiosa, il dialogo con le altre religioni, la difesa dei diritti umani».

Nella recente festa di Pentecoste, i vescovi del Lazio hanno rivolto un appello ai fedeli delle loro diocesi perché non si diffondano i germi dell’intolleranza e del razzismo. «Vorremmo invitarvi a una rinnovata presa di coscienza», hanno scritto, «ogni povero – da qualunque Paese, cultura, etnia provenga – è un figlio di Dio… Chi è straniero è come noi, è un altro noi: è un dono. È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza». E ancora: «Desideriamo che tutte le nostre comunità, con spirito di discernimento, possano promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e, soprattutto, originati dalla Parola evangelica».

Qualche parroco, purtroppo, s’è rifiutato di leggere l’appello ai propri fedeli. Tocca a un giornalista laico, Giovanni Valentini, sebbene cresciuto nelle scuole dei Gesuiti, fare una “difesa d’ufficio” del Vangelo. E anche di papa Francesco, di fronte a una campagna mediatica che vuole delegittimarlo e screditarlo per i suoi inviti all’accoglienza degli immigrati. Complice anche qualche eminente cardinale “sovranista”, che si presta a questo assurdo gioco allo sfascio. Scrive Valentini: «Si fa fatica a riconoscere nella retorica e nella propaganda di Matteo Salvini lo spirito evangelico della predicazione “umanista” di Cristo. Di colui, cioè, che difendeva i poveri e gli “ultimi”, scacciava i mercanti dal tempio e perdonava l’adultera o la prostituta». Un monito, da laico, rivolto a preti o semplici credenti che accreditano il leader leghista come “difensore” della fede e delle radici cristiane dell’Italia e dell’Occidente. E confondono le sue strumentalizzazioni, a uso politico, del rosario e del crocifisso, che bacia durante i comizi, come “pie pratiche religiose”.

D’altronde, fa osservare il gesuita padre Bartolomeo Sorge: «Non basta baciare in pubblico Gesù, l’ha già fatto anche Giuda». E il cardinale Gianfranco Ravasi, uno dei più noti biblisti al mondo, in una recente intervista al Corriere della sera, precisa: «Fede e religione non sono sinonimi, anche se tra loro connessi. La fede è un’esperienza esistenziale, una scelta radicale. La religione è la manifestazione esteriore. Agitare il Vangelo, ostentare il rosario, baciare il crocifisso non fa di te necessariamente un credente». E al giornalista che gli chiede se Salvini sbaglia, il cardinal Ravasi risponde: «Sono segni che di per sé non rappresentano l’autenticità del credere. Cristo perdona tutte le colpe, ma non sopporta le ipocrisie. Non esiste l’autosalvezza. Non ci si salva con le manifestazioni esteriori, ma con la profonda adesione alle scelte morali ed esistenziali… Altrimenti, è rito magico. È magia».

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Da parte sua, papa Francesco, di ritorno dal recente viaggio in Romania, ha ammonito che «mai un politico deve seminare odio e paura, ma soltanto speranza giusta, esigente, perché deve condurre il Paese». E ha anche dato un esempio, incontrando una comunità rom e chiedendo, a “nome della Chiesa”, perdono per le “discriminazioni” e i “maltrattamenti” subìti nella storia da parte dei cattolici. Parole e gesti non da tutti bene accolti, anche tra i credenti. Il Vangelo, nella sua radicalità, è impopolare. Ma la Chiesa non può scolorirlo, mettendo a tacere la profezia. O rinunciando, per diplomazia, alla difesa dei poveri e degli ultimi.

C’è, piuttosto, da chiedersi dove ha fallito la Chiesa, se il 33 per cento dei cattolici che vanno a Messa condividono e votano una politica disumana e xenofoba contro rom e migranti. E se un leader politico, come Salvini, può contrapporsi apertamente, e con sufficienza, a papa Francesco e avere dalla sua parte tantissimi cattolici. Una sorta di “antipapa” che attira più dello stesso Papa. Mentre un populismo anti-papale, su temi come accoglienza e migranti, sta isolando e mettendo con le spalle al muro Bergoglio. «Debole è la mobilitazione dei sostenitori della linea riformatrice di Francesco», scrive Marco Politi nel suo ultimo libro: La solitudine di Francesco. Un Papa profetico, una Chiesa in tempesta (Laterza). «Vescovi e cardinali si affacciano poco sulla scena per difendere il Papa e appoggiare gli obiettivi di cambiamento».

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Così, nel silenzio e nell’indifferenza generale, si assiste ancora una volta alla nave Sea Wacth 3 ferma da giorni, a 16 miglia dall’isola di Lampedusa, con alcune decine di immigrati a bordo. Il vicepremier Matteo Salvini nega l’accesso alle acque territoriali. «Finché io sono ministro dell’Interno», ha detto, «non entra in un porto italiano… Questa nave fuorilegge, per me può stare lì per settimane, per mesi, sino a Capodanno!». Per ragioni umanitarie, bontà sua, ha autorizzato a scendere almeno i bambini, le donne incinte e i malati. Nel Paese c’è aria di rassegnazione a tanta tracotanza. Un senso di impotenza e smarrimento. E chi dovrebbe pur reagire, poiché sta all’opposizione in politica, pensa ancora a litigare e a insultarsi. In un insensato e insopportabile regolamento di conti interni, mentre “Casa Italia” brucia. Tra la gente aumentano rabbia e rancori. Ogni forma di violenza, sia verbale che fisica, è tollerata e sdoganata. Tutto alla luce del sole. A Roma, quattro giovani vengono insultati e pestati per una maglietta su “Cinema America” e per aver dichiarato d’essere antifascisti. A Cremona, durante un comizio, un ragazzo dell’oratorio è sbeffeggiato dal leader leghista e strattonato dai militanti per aver esposto una sciarpa con la scritta: “Ama il prossimo tuo”.

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Ma inquietanti sono anche alcuni episodi di cronaca. Per la facilità con cui si ricorre all’uso di armi. A Palma Campania, in provincia di Napoli, infastidito dai rumori e dagli schiamazzi provenienti da un chiosco, un anziano scende da casa armato e comincia a sparare: uccide il proprietario e ferisce gravemente la figlia e il genero della vittima. A Veniano, in provincia di Como, un giovane venticinquenne è accoltellato per un banalissimo incidente. Il ragazzo stava bevendo a una fontana, quando qualche schizzo d’acqua ha bagnato un signore lì vicino. Questi non ha esitato a estrarre il coltello e a colpirlo. Il giovane morirà, qualche ora dopo, all’ospedale. C’è tanta voglia di “giustizia fai da te”, in un crescendo preoccupante.

Chi ci salverà dal “pifferaio magico” di Hamelin che, come nella favola dei fratelli Grimm, sta portando il Paese nel burrone? Dopo il viaggio negli Stati Uniti del vicepremier leghista, e l’appiattimento servile su Trump e il trumpismo, la permanenza dell’Italia in Europa e nell’euro è a rischio. Ormai, tutto è possibile. Non ci si indigna più di nulla. Neppure della continua e progressiva perdita di libertà. E non solo d’espressione. Se innocenti slogan come “Ama il prossimo tuo” oppure “Prima gli esseri umani” sono “proibiti” perché sovversivi, il Paese davvero si sta deteriorando.

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Pochi hanno il coraggio di dire al re che “è nudo”. E che questa politica contro gli immigrati è fallimentare e di corto respiro. Solo propaganda. Seppure molto redditizia quanto a consensi. Nei fatti, però, pochi sono gli immigrati espulsi dall’Italia, nonostante i roboanti proclami salviniani. Nel frattempo, nei primi sei mesi di quest’anno, la Germania ci ha riportato indietro, via aereo, 1.200 profughi: i cosiddetti dublinanti, quelli che hanno avuto come primo approdo l’Italia. Nel silenzio asservito delle Tv sovraniste, qualche sprazzo di verità ci viene dalla satira. Quella, ad esempio,  che inchioda il leader leghista, sul suo terreno di battaglia, con una semplice battuta: «Nessun migrante ci ha rubato 49 milioni».

Antonio Sciortino,
già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

 

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