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Affidi e legge regionale Allontanamento zero, parla il Procuratore dei minori del Piemonte

Alla ricerca del bene comune  in una società frammentata con Francesco Belletti direttore Cisf

ALBA Sul numero di Gazzetta d’Alba che sarà in edicola martedì 4 febbraio tratteremo il tema degli affidi e del disegno di legge regionale per ridurli. Il tema è stato sviscerato dall’intervista di Marina Lomunno del settimanale diocesano di Torino La voce e il tempo al magistrato Emma Avezzù, procuratore dei minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, che per la prima volta interviene sull’argomento.

L’onda lunga delle vicende di Bibbiano sui presunti affidi illeciti – che hanno spopolato nelle cronache estive e continuano ad essere argomento di scontro politico – ha ispirato il disegno di legge regionale del Piemonte sull’allontamento zero presentato da Chiara Caucino (Lega), l’assessore alle politiche della famiglia e dei bambini della Giunta Cirio. Il testo (visibile sul sito del Consiglio regionale) come dice il titolo, si pone come obiettivo ridurre gli affidi famigliari fino a zero per permettere a tutti i bambini di crescere nelle proprie famiglie d’origine. Il progetto di legge, che fino al 14 febbraio sarà oggetto di discussione nella IV Commissione consiliare che ha avviato le consultazioni on-line invitando le parti coinvolte (associazioni, ordini professionali e tutti coloro che a vario titolo si occupano di minori) a esprimere un parere, fin dalla sua pubblicazione ha suscitato molte perplessità tra gli addetti ai lavori circa l’utopia dell’allontanamento zero.

Contro il disegno di legge sono usciti documenti delle associazioni delle famiglie affidatarie, dell’Ordine degli avvocati, una petizione lanciata dall’Università di Torino a cui hanno aderito docenti di tutt’Italia, è nato un comitato Zero allontanamento zero a cui aderiscono, tra gli altri, l’Ordine degli assistenti sociali di Torino e la garante dell’infanzia e dell’adolescenza del Piemonte Rita Turino: tutti invitano la Regione a ritirare la proposta di legge e ad avviare, piuttosto, un tavolo regionale sulla tutela dei minori.

Ne abbiamo parlato con Emma Avezzù, da ottobre 2019 procuratore dei minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, con una lunga esperienza come magistrato del Tribunale minorile torinese prima di essere nominata procuratore capo dei minori a Brescia.

Procuratore, cosa non funziona nell’istituto dell’affidamento se, dopo i fatti di Bibbiano, si è rimesso in discussione tanto che la nostra Regione ha proposto un disegno di legge che si pone l’obbiettivo di ridurre gli affidi in Piemonte almeno del 60 per cento?

«Sui fatti di Bibbiano la magistratura sta ancora lavorando e se ci sono stati degli illeciti, se si sono fatti favoritismi verso alcune famiglie affidatarie o se i servizi non hanno funzionato lo capiremo al termine dell’inchiesta. Intanto mi preme ricordare che l’affido è una misura temporanea perché il minore possa trovare soccorso quando la sua famiglia attraversa un momento di difficoltà. In Italia è regolato dalla legge 184 del 1983, modificata poi dalla legge 149 del 2001. Una legge dello Stato quindi c’è e funziona. La vicenda di Bibbiano che riguarda quel caso specifico – anche grazie a certa informazione, diffusa persino dalle reti televisive pubbliche, irrispettosa della Carta di Treviso che detta le regole per i giornalisti che informano su temi legati a minori – ha messo in cattiva luce l’istituto dell’affidamento in generale e questo è pericoloso. Intanto occorre fare attenzione ai termini. Si parla spesso scorrettamente di “sottrarre un bambino alla famiglia”: sottrarre fa pensare a un oggetto. I bambini non sono un oggetto, non sono una proprietà. L’intervento dell’affido temporaneo a una famiglia o ad una comunità mira alla tutela del minore quando vengano descritte situazioni di disagio e le assicuro che nella mia esperienza – prima come giudice in questo Tribunale, poi come procuratore a Brescia e ora di nuovo qui a Torino – le situazioni per cui i provvedimenti di tutela si rendono necessari sono numerosi».

Il disegno di legge regionale insiste sul fatto che la maggior parte dei disagi dei minori sono dovuti a difficoltà economiche della famiglia che starebbero alla base dei motivi per cui si avviano gli allontanamenti…

«La legge 184 dice che le condizioni d’ indigenza di una famiglia debbono portare l’ente locale a predisporre strumenti di sostegno al reddito, non di certo ad allontanare i bambini: non si sono mai allontanati minori solo a causa dell’indigenza. Lo scopo della legge è la tutela rispetto a disagi ben più gravi che la povertà. In caso di carenze igienico-sanitarie dell’abitazione del nucleo, di disoccupazione, quando non si è in grado di pagare il riscaldamento o l’affitto l’Ente pubblico interviene con le provvidenze e questo già si fa. Ma può capitare che la famiglia non si avvalga o non si rivolga all’Ente, o spenda i sussidi non per beni di prima necessità facendo vivere i bambini nella sporcizia e nell’incuria: allora senza dubbio occorre intervenire. Qui non si tratta solo d’ indigenza ma di carenze educative».

Cosa vi preoccupa più della povertà?

«Il disagio psicologico ad esempio: non si può affermare che non si possono allontanare i bambini per “mero disagio psicologico o per mera inadeguatezza genitoriale”. L’inadeguatezza genitoriale, la dipendenza da sostanze, la malattia psichica portano a patologie gravissime per i minori. Ho avuto esperienza di bambini che fin da neonati non venivano alzati dalla culla, non venivano presi in braccio, coccolati, mentre li si nutriva non li si guardava negli occhi. Quando ero giudice a Torino, molti anni fa, mi è capitato un caso di un bimbo di cui si sospettava una patologia neurologica perché stava immobile. Si è poi scoperto che non aveva assolutamente nulla ma non era mai stato preso in braccio… Non parliamo poi dell’incapacità dei genitori di contenere minimamente i figli, di dare delle regole: qui non si tratta di violare la privacy delle famiglie, ognuno ha le proprie modalità educative. Ma nostro dovere è pretendere il minimo e che cioè, ad esempio, i bambini non vengano maltrattati fisicamente e psicologicamente, che i figli non vengano apostrofati con parole che minano l’autostima, che non vengano umiliati o ignorati ma anche che abbiano regole negli orari, che vadano a letto col pigiama e quando si alzano si insegni loro a vestirsi: insomma i fondamentali dell’educazione. Ripeto nostro dovere è garantire il benessere fisico, materiale e psicologico del minore. Cioè garantire l’educazione».

Il testo del disegno di legge regionale sottolinea che occorre fare il possibile perché il bambino rimanga nella famiglia d’origine e, qualora non sia possibile, che si affidi a parenti fino al quarto grado. Ci sono situazioni dove il legame di sangue non basta e interviene la genitorialità sociale, la “famiglia in prestito”…

«Certamente laddove è possibile si lavora perché il minore rimanga nella sua famiglia anche allargata ma quando anche i parenti del bambino non sono idonei dal punto di vista educativo perché ne è minata la sua integrità fisica e psicologica, gli affidatari sono una risorsa da sostenere e che in questo Paese hanno salvato migliaia di adolescenti. Pensiamo a tutte le situazioni che hanno consentito a minori con storie di vita difficilissime di godere di riferimenti famigliari adeguati, pensiamo anche a tanti genitori in difficoltà che hanno dato il consenso all’affido del figlio – sono una minoranza le famiglie che si oppongono – e sono riusciti con i sostegni adeguati a superare i momenti critici».

Quali sono i suoi rilievi sulla proposta di legge?

«Per ora la Regione ha inviato al Presidente del Tribunale dei minorenni e a me il testo del progetto di legge senza convocarci per sentire un nostro parere. Con il Presidente penseremo di inviare una nota in cui esprimeremo la nostra opinione. Innanzitutto mi sento di dire che, fatti salvi i provvedimenti dell’autorità giudiziaria che sono la regola e che deve sempre intervenire, la stessa autorità giudiziaria deve però contare su servizi sociali che abbiano la possibilità di lavorare bene anche sulla prevenzione, come auspica il disegno di legge, e di sentirsi legittimati. E qui in Piemonte i servizi sono assolutamente di prim’ordine. I limiti veri, su cui occorrerebbe che la politica si concentrasse, sono le carenze di personale e di mezzi. Accade a Torino che, anche con il consenso dei genitori all’allontanamento temporaneo di un minore o alla sua presa in carico da parte di un servizio specialistico, le liste d’attesa siano talmente lunghe che si arriva all’assurdità; e che cioè i servizi sociali chiedono a noi, autorità giudiziaria, un provvedimento d’urgenza così la pratica va avanti e il minore viene ospitato in comunità, o viene preso in carico, ad esempio dal servizio psicologico. Diversamente si può attendere mesi… Ma un’iniziativa della Procura per i minori va messo in atto solo quando le situazioni sono molto gravi, e non vi sia consenso».

Quindi il lavoro dei servizi sociali è molto importante anche dal punto di vista della prevenzione…

«Senza dubbio e si fa già moltissimo. Penso al Progetto Pippi per prevenire l’istituzionalizzazione e accompagnare alla genitorialità e a tanti altri strumenti messi in campo dai servizi su territorio. Tutto questo c’è già e funziona. Ma anche qui ci vogliono più risorse, altro che “costo zero” come prevede il disegno di legge pensando di limitare i costi dell’affidamento. Anche per questo credo che sugli allontanamenti su iniziativa dell’autorità amministrativa (regolati dall’ex art. 403 del Codice civile) per mezzo dei servizi sociali il disegno di legge non faccia i conti con la realtà: io sono qui da ottobre e registro che il 50 per cento dei provvedimenti non vengono messi in atto dai servizi (che spesso non sono a conoscenza della situazione di fragilità) ma vengono attivati dalle Forze dell’ordine, dagli ospedali o dalle scuole. Cioè non sono le assistenti sociali “cattive” che portano via i bambini: accade che, quando un bambino o la mamma vengono picchiati vanno in ospedale, oppure viene fatta una segnalazione alle Forze dell’ordine dai vicini di casa o talvolta dagli stessi ragazzini che, assistendo alle violenze, chiedono aiuto alla Polizia o ai Carabinieri. Poi ci sono ragazze adolescenti che si rivolgono alla scuola e che raccontano di maltrattamenti, o le maestre che segnalano di alunni con ferite da frustate o bruciature… Ripeto la maggior parte degli allontanamenti non vengono messi in atto per motivi economici: certo, l’indigenza non aiuta, può darsi che le famiglie che hanno più mezzi e un livello culturale più elevato abbiano qualche risorsa in più nella famiglia allargata ma non si possono fare automatismi. Il disagio è trasversale. E ci vogliono più personale e risorse per intercettarlo prima che sia troppo tardi».

In questi giorni molte associazioni, ordini professionali e chi si occupa di minori auspicano che sarebbe più opportuna un’alleanza per i minori piuttosto che un dibattito che rischia di strumentalizzare i bambini…

«Certamente. A mio parere la Regione ha la possibilità di fornire tutti i mezzi possibili ai servizi, di predisporre gli interventi, in particolare di carattere economico e pensare anche a supporti nuovi o relativamente nuovi come l’affido part-time o diurno: sostegni educativi che possono essere messi in campo per mantenere un legame con la famiglia d’origine laddove è possibile. Occorre però non partire dal presupposto che l’allontanamento è necessariamente “una cosa cattiva” e da evitare quando invece ci sono esigenze di tutela dei bambini molto pressanti. Inoltre bisogna che si riconosca l’operato che i servizi svolgono con interventi preventivi di sostegno prima di pensare ad un allontanamento. Cerchiamo allora di incidere e potenziare su quello che già funziona, evitando di insistere sul fatto che gli allontanamenti non si devono fare: è una posizione che considera la gravità delle situazioni che sono reali e le esigenze di tutela dei bambini. Anziché demonizzare assistenti sociali e servizi potenziamoli perché possano rintracciare il disagio prima che si manifesti alle Forze dell’ordine o nei pronto soccorsi quando è degenerato. In Piemonte i servizi sul fronte della prevenzione sono sempre stati virtuosi: delegittimarli significa scoraggiare le famiglie disposte ad adottare e a prendere minori in affidamento. Già i numeri delle disponibilità rispetto alle necessità sono inferiori, se screditiamo le famiglie affidatarie e i servizi rischiamo di far male a tanti minori che invece avrebbero bisogno di genitori disponibili ad accoglierli».

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