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1946: i contadini assaltano le carceri

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I Granai del popolo di Alba

LA STORIA Una fotografia, una data: è quel che resta. «I Granai del popolo furono abbattuti nel 1996 per fare spazio a un complesso residenziale che si affaccia su via Piera Cillario Ferrero, di fronte all’H zone». Antonio Buccolo, oltre a ricordarli bene, quei due capannoni ocra dove si ammassava il grano consegnato dai contadini li ha fotografati più volte. Nati «con la politica fascista dell’autosufficienza cerealicola», come racconta Renato Vai, «gli ammassi diventarono durante il conflitto e nel dopoguerra l’unico modo che le Amministrazioni avevano per nutrire una popolazione alla fame, distribuendo a prezzo controllato cereali, oltre a olio e grassi animali, allora beni preziosi».

Alla fine del 1945, la Giunta del Cln che governava la città aveva portato a termine uno scambio di prodotti: una partita di riso del Vercellese aveva integrato la dieta degli albesi. Il passivo delle casse comunali superava il milione di lire; Teodoro Bubbio, primo sindaco, a novembre aveva promosso una sottoscrizione fra gli industriali per un fondo di solidarietà da devolvere all’Ente comunale di assistenza. Ma la situazione alimentare rimaneva disastrosa e si sommò alle conseguenze del cattivo raccolto; gli aiuti degli Alleati non erano costanti.

Nelle campagne imperversava il contrabbando: un quintale di grano pagato 75o lire all’ammasso, secondo le disposizioni del comando alleato, poteva valerne fino a 12 mila sul mercato nero. E chi aveva soldi faceva incetta: «I treni non arrivavano ancora, perché il ponte era stato distrutto, ma c’era gente che da Torino veniva in piazza San Giovanni a riempire valige di uova; le incartava in giornali e ripartiva», ricorda Vai. «In città c’era la fame e il lavoro mancava. Si faceva a gara per spalare la neve dalle strade, per accaparrarsi quel compito gli albesi arrivarono a malmenare gli abitanti delle frazioni», dice Vai.

«Le guardie annonarie controllavano le cascine: più grano nascondevi e più potevi venderne alla borsa nera. Dal 1944 non si poteva più macellare il bestiame, anche il grasso bovino si usava per fare lo strutto», aggiunge Buccolo. Il 4 maggio 1946 i Comuni ricevettero un dispaccio prefettizio che annunciava l’interruzione delle forniture di farina per il blocco delle importazioni dall’estero. L’Ufficio comunale statistico economico dell’agricoltura, che fissava i quantitativi di grano da versare all’ammasso e batteva le campagne alla ricerca dei trasgressori, era invitato a far fronte, con le requisizioni, alla panificazione.

Per la campagna 1946 gli agricoltori avrebbero potuto trattenere sul raccolto due quintali di frumento a testa; una quantità inferiore era destinata ai mezzadri. La trebbiatura coincise con i primi arresti; a settembre l’attività di polizia raggiunse l’apice, nell’Albese: per le violazioni la legge prevedeva pene fino a sei anni e una multa di venti volte il prezzo commerciale del grano non consegnato.

L’«assalto alle carceri», come venne definito dai giornali dell’epoca, fu il culmine di un’estate di tensioni. Gli uffici di cinque ammassi granari dati alle fiamme e un clima di diffusa agitazione avevano indotto il ministro dell’agricoltura, Antonio Segni, a incontrare, il 22 settembre ad Alba, gli esponenti democristiani locali, fra i quali Giovanni Brusasca e Teodoro Bubbio. «Ricordo quanto accadde il 26 settembre 1946: mio padre era un agente di custodia. Avevano arrestato alcuni dei trasgressori dell’ammasso e c’era stata una rivolta», rammenta Buccolo. «I contadini assaltarono il carcere per liberarli: affollarono il vicolo dietro San Giuseppe, poi entrarono in via Manzoni e riuscirono a sfondare il portone».

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Il vicolo dietro le carceri di Alba

In migliaia, da Langhe e Roero, erano scesi in città per protestare contro la sospensione della libertà provvisoria per gli agricoltori evasori, misura introdotta dal decreto luogotenenziale del 3 luglio ’44. La manifestazione, organizzata dalla Coldiretti, nelle intenzioni avrebbe dovuto avere un carattere pacifico e si era tenuta in tutta la provincia. L’attacco al carcere ebbe luogo nel pomeriggio: soltanto l’arrivo di quattro autoblindo cariche di Carabinieri, chiamate in tutta fretta da Alessandria, ristabilì l’ordine, a fatica: i militari dovettero sparare raffiche in aria per convincere gli irriducibili a desistere. A scopo cautelare, dodici contadini furono trasferiti alle Nuove di Torino.

Ma la repressione non bastava. Da più parti gli agricoltori minacciavano la riduzione delle semine alla pura sussistenza loro, se gli arresti non fossero cessati. La dirigenza locale della Democrazia cristiana segnalò, il 30 settembre, al torinese Attilio Piccioni, membro della segreteria nazionale, la possibilità di un passaggio in massa degli agricoltori, determinanti per il trionfo Dc alle elezioni tenutesi in primavera, al Partito dei contadini di Urbano Prunotto. Gli incidenti convinsero il Governo a sospendere fino al 6 ottobre le operazioni della Polizia annonaria. Ma «ci fu l’assalto per il pane: minacciarono il sindaco. Mi trovavo, assieme a mio padre, sulle scale del Municipio», precisa Vai. «Bubbio era in difficoltà: a tamponare la situazione fu il commendator Bruni. Gestiva la Cooperativa albese di consumo e fece distribuire due chili di pasta a testa».

«Quelli tra il 1945 e il 1948 furono anni difficili. Poi gli aiuti americani cambiarono la situazione: il prezzo del grano crollò da un momento all’altro. Costava meno importarlo dagli Stati Uniti e si passò pertanto ad altre colture».

Davide Gallesio

TRA RAZIONAMENTO E DISOCCUPAZIONE

«Ricordo che si creavano enormi mucchi di grano distribuito alla popolazione in base a regole precise. La gente andava a prenderlo col carretto: il ponte su Tanaro, bombardato, era stato rimpiazzato con una struttura in legno sulla quale si poteva passare portando un solo sacco alla volta. Ognuno poi lo faceva macinare: la farina veniva ceduta ai panettieri che consegnavano, in cambio, il pane. Il mulino più importante era quello di Vivalda, nei pressi del ponte sul Cherasca in corso Acqui»: la sintesi di Antonio Buccolo descrive come funzionavano gli ammassi.

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Antonio Buccolo

Tempi duri, quelli successivi alla Liberazione, anche per la disoccupazione: «La Piemonte centrale elettrica assunse una ventina di operai: i partigiani si riunirono per giorni nel palazzo Faraone in via Cavour, l’attuale sede della Banca d’Alba, dov’era l’ufficio di collocamento, per decidere a chi assegnarli». E tempi di emigrazione anche nella futura Alba felix: «Chi aveva contatti in Francia raccoglieva manodopera: si andava a piedi fino a Pont Saint Martin per espatriare».

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