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Giorgio ed Elisa: quarantena in terra di Baviera

Due giovani italiani – Giorgio ed Elisa – alle prese con un neonato in tempo di Covid-19

Giorgio ed Elisa: quarantena in  terra di Baviera

LA STORIA  Sono passati poco più di sei mesi da quando abbiamo raccontato la storia dell’albese Giorgio Montersino e di sua moglie Elisa Grandi in terra di Baviera: li avevamo lasciati alla prese con le tasse da pagare per usufruire dei servizi della Römisch-katholische kirche. La Chiesa cattolica, in Germania chiede ai praticanti un contributo per sostenersi: Giorgio, alla fine, ha saldato gli arretrati.

Da Monaco, città dove la coppia vive, in questo momento di allentamento delle misure restrittive, filtra l’esperienza della quarantena. Li avevamo lasciati in due, Giorgio ed Elisa, e li troviamo in tre; perché a ottobre è arrivato il piccolo Leonardo. «La nostra vita sociale, con un bambino di 4 mesi era già abbastanza ridotta», racconta il neopapà. «D’inverno poi non si frequentano i biergärten (le classiche birrerie all’aperto): quando la mia azienda mi ha permesso di lavorare da casa ne ho approfittato per godermi il tempo con mio figlio e aiutare mia moglie. Non ci siamo annoiati, nonostante due mesi chiusi in casa». Nel land di Baviera, qualcosa di analogo alle nostre regioni, non si è avuto un blocco totale: «Fare passeggiate è sempre stato permesso», spiega Giorgio. «Abbiamo iniziato la quarantena in modo volontario e, sulla base delle informazioni dall’Italia, ci siamo isolati prima degli altri: le nazionalità tra cui l’epidemia era in corso hanno capito subito la gravità della situazione. I tedeschi di Monaco, sulle prime, invece, erano spavaldi: molti minimizzavano o negavano il problema. Abbiamo vissuto un paio di settimane in cui ci sembrava di stare su una nave che stava affondando nell’indifferenza; il futuro, in formato Lombardia, ci appariva assicurato».

Poi, le limitazioni, all’altezza del 21 marzo: «In pochi giorni la Baviera ha cambiato faccia», prosegue Giorgio. In Germania ogni land ha deciso con tempi e norme diversi come affrontare la pandemia: «Sono arrivati regole sui distanziamenti, guanti e chiusura dei punti vendita. Dopo la grande paura per il futuro però si è capito che l’efficienza tedesca non è solo un mito: abbiamo notato una grande fiducia verso lo Stato».

Gli inizi non sono stati semplici anche per un’inspiegabile malattia: «Avevo febbre ogni quattro o cinque giorni, debolezza e tosse», racconta. «Dopo sei settimane di dubbi il medico ci ha testati per il virus e gli anticorpi: siamo risultati tutti e due negativi. Il nome del test è Elisa: come mia moglie», scherza il giovane. Le giornate sono ancora scandite da smart working e pasti del piccolo Leonardo: «Lo stiamo svezzando e in due riusciamo a dividerci i compiti di preparazione del cibo e la pulizia». Nonostante qualche notte insonne il lavoro prosegue da casa: «Il mio team è composto da persone sparse fra Canada, Francia e Spagna. Tutti lavoriamo dalle scrivanie delle nostre abitazioni e ogni giorno ci colleghiamo in videoconferenza», spiega Giorgio.

La riapertura delle scuole è stata al centro di una grande battaglia politica che ha occupato i quotidiani nazionali, ridimensionando le colonne dedicate al Covid-19. «C’è ancora polemica perché hanno riaperto prima i biergärten degli asili. Gli studenti degli ultimi anni, alle prese con gli esami, però, possono andare a scuola, gli asili erano aperti per i lavoratori “necessari” ed entro questa settimana la metà dei bambini potrà tornare in classe, a piccoli gruppi».

In Baviera i negozi hanno tirato su le serrande, con obbligo di mascherine, mentre i ristoranti sono interdetti all’interno, ma del tutto operativi all’esterno. La spinta per ripartire è stata forte come in Italia: «Qui, regole meno draconiane hanno permesso a tanti di continuare a lavorare», spiega ancora il nostro interlocutore. Due le chiavi della ricetta tedesca: «Responsabilità a tutti i livelli della società e capacità della gestione pubblica hanno fatto la differenza».

Davide Gallesio

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