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La nuova solidarietà e una sfida per l’Unione europea

Italia, sorvegliata speciale nell’Unione europea? 1

BRUXELLES La proposta recentemente presentata dalla Commissione europea per un piano di rilancio dell’Ue, della sua economia e del suo sviluppo futuro, si richiama al valore fondativo della solidarietà europea, che non sempre ha trovato la dovuta applicazione nelle politiche concrete, con il risultato di aver logorato la fiducia dei cittadini nei confronti del progetto di integrazione europea e delle Istituzioni che se ne dovevano fare carico.

Adesso questa apertura di solidarietà, per tanti aspetti inattesa, va compresa, valutata e corrisposta, cominciando col chiarirci che cosa voglia dire realisticamente “solidarietà” per questa straordinaria avventura politica che stiamo sperimentando da settant’anni.

Intanto non va confusa con una vaga generosità gratuita quanto piuttosto come una potenziale convergenza di interessi in grado di ricompensare, anche in tempi medio-lunghi, le parti interessate a un patto di convivenza pacifica. È quanto avvenuto con la creazione delle prime Comunità europee negli anni ’50, all’indomani della Seconda guerra mondiale quando era obiettivo comune ricostruire un continente in macerie e consolidarne una pace appena raggiunta.

Italia, sorvegliata speciale nell’Unione europea? 1

Per lunghi anni questa convergenza di interessi ha funzionato, la Comunità europea è cresciuta e, in coincidenza con una felice congiuntura economica, anche la solidarietà si è diffusa. Qualcosa ha cominciato a scricchiolare con un’altra diversa coincidenza, a inizio anni ’70, quella dei primi allargamenti della Comunità e della crisi economica e poi, via via, con il divergere degli interessi dei partner in presenza di interpretazioni diverse del processo di integrazione: divaricazioni che hanno condotto, tra le altre, a una rottura come quella recente di Brexit o come quella che si manifesta in questi giorni con gli egoismi dei Paesi “frugal-rigoristi” che si oppongono alla recente proposta della Commissione europea.

Si tratta di una proposta molto articolata, dotata di un imponente volume di risorse (qualcosa come 2.400 miliardi euro per il periodo 2021-2027) che però non deve trarre in inganno: non si tratta né di un regalo piovuto dal cielo né di un nuovo più massiccio piano Marshall foraggiato dall’esterno, come a cavallo degli anni ’50. Più realisticamente si tratta di una “chiamata alle armi” dei cittadini europei nella loro qualità di contribuenti, diversamente leali con il rispettivo fisco nazionale, a partire dalle tasche dei quali prende sostanza il bilancio comunitario, ieri pari all’1% del Prodotto interno lordo (1.000 miliardi), domani forse raddoppiato per far fronte alla crisi innescata dal Covid-19.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

La redistribuzione di queste risorse si ispira al criterio di una solidarietà sovranazionale quale ricordata sopra: in parte si tratterà di “sovvenzioni” per progetti di sviluppo, non soggette a rimborso (meglio chiamarle così, che non “contributi a fondo perduto”, che qualcuno è tentato di usare per ridurre le tasse o dilatare la spesa corrente) e in parte da “prestiti” da restituire a media-lunga scadenza con tassi agevolati, particolarmente interessanti per Paesi in difficoltà finanziarie come l’Italia. La solidarietà si traduce inoltre con la  destinazione delle risorse verso settori economici e  territori maggiormente colpiti dalla crisi per aiutarli a rialzarsi, ma anche per frenare la frammentazione di un mercato europeo già squilibrato e che rischia di diventarlo ancora di più, finendo col danneggiare in misura diversa tutti i Paesi dell’Unione.

Letta così, la solidarietà europea è sicuramente una buona notizia: realizzarla non sarà una passeggiata, ma per tutti – governi nazionali, istituzioni Ue, contribuenti europei –  è una sfida da affrontare per costruire la nuova Europa.

Franco Chittolina

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