Ultime notizie

Il virus che infetta le relazioni tra le persone

PENSIERO PER DOMENICA – XXIV TEMPO ORDINARIO – 13 SETTEMBRE

Concedere o negare il perdono è esperienza che facciamo fin da bambini. «Non ti faccio più amico!»: sono parole che tutti abbiamo sentito e pronunciato. Perdonare un’offesa è come disinfettare una brutta ferita: brucia sempre, ma non disinfettare produce molti più danni, perché ti rimane dentro un virus che diventa rancore e ti devasta la vita. Le letture bibliche della XXIV domenica del Tempo ordinario indicano tre strade che hanno come approdo il perdono: una fede, una filosofia di vita e un esercizio.

Il virus che infetta le relazioni tra le persone
Beato Angelico: Cristo giudice (Firenze, museo San Marco). San Paolo dice che nessuno vive per sé.

Il primo a perdonare è stato ed è Dio. Nel Vangelo (Mt 18,21-35), Gesù ci ricorda che dobbiamo perdonare i nostri fratelli perché Dio ha perdonato noi. È la motivazione più forte, espressa in termini volutamente paradossali con la parabola dei due debitori: il primo, a cui il padrone aveva appena condonato un debito spaventoso, pari oggi a milioni di euro, viene condannato perché si rifiuta di condonare a un suo subalterno un debito pari a tre mesi di stipendio di un bracciante. Negare il perdono è un atteggiamento umanamente meschino, ma che ha come sottofondo la mancanza di fede.

«Nessuno di noi vive per sé stesso»: le parole di Paolo ai Romani (14,7-9) ci ricordano che da soli non possiamo né essere felici né realizzarci come persone. L’individualismo è sempre stato una minaccia, ma oggi è più forte che in altri tempi, anche a causa della cultura digitale che rende meno indispensabili le relazioni e di filosofie di vita che esaltano la carriera, il successo, il culto del corpo esteso fino al narcisismo. L’individualismo finisce per essere un vero e proprio muro contro la fraternità, cioè contro la vita semplice tra fratelli che si vogliono bene, si aiutano e sono disponibili al perdono. La fraternità è la base del vivere civile: senza di essa le fondamenta crollano.

Al perdono ci si deve allenare. Con la concretezza che caratterizza i testi sapienziali, il Siracide (27,33-28,9) ci ricorda che la capacità di perdonare non si improvvisa. Anche se motivato a livello di fede e di filosofia di vita, necessita di allenamento prolungato e costante. È pronto al perdono solo chi ha fatto pulizia dentro di sé, eliminando il virus del rancore e solo chi ha imparato a controllare le emozioni violente come l’ira e la collera. Queste emozioni innalzano vere e proprie barriere tra le persone, e finiscono per interrompere ogni forma di dialogo, tra noi e con Dio.

Lidia e Battista Galvagno

Banner Gazzetta d'Alba