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Lavoro: 200mila le assunzioni in meno nel 2020

Lavoro: 200mila le assunzioni in meno nel 2020 1

L’INCHIESTA «Ho perso il lavoro in questa pandemia. Ma non mi sento particolarmente abbattuta. Prima facevo la cassiera: era un lavoro stressante, sottopagato e precario. Adesso ho la possibilità di reinventarmi. Certo, posso contare su una famiglia alle spalle che mi protegge e mi impedisce di cadere. Ho quasi finito l’università e non devo pagare un affitto. Non tutti sono fortunati come me».

Le parole di Luisa, 23 anni, albese, raccontano una storia quasi collettiva. In quest’anno difficile sono in molti, spesso giovani, a dover fare i conti con l’obbligo di rivedere sogni, priorità e aspettative. L’idea del mondo è compromessa e dev’essere riaggiornata. In particolare, è il mondo del lavoro a mutare: l’impiego non è più una possibilità o uno strumento a disposizione per esprimersi, ma una sorta di privilegio ottenibile dai più fortunati. Guadagnarsi da vivere può diventare fonte d’angoscia invece che speranza, qualcosa di sfuggevole e traballante anziché di sicurezza.
I dati comunicati da Ires – Istituto per le ricerche economiche e sociali del Piemonte –a fine ottobre nel rapporto dal titolo Osservatorio ripartenza restituiscono l’idea di ciò che sta accadendo nella nostra regione. Esaminando anche solo il parametro della cassa integrazione in deroga, emerge una situazione di diffusa precarietà. Da inizio anno a oggi sono state presentate 69.172 domande. Il ricorso a questo ammortizzatore sociale ha coinvolto 33.231 aziende e circa 90.300 lavoratori, per un totale di circa 22,5 milioni di ore e una spesa stimata in 182 milioni di euro. In media, si rilevano 676 ore richieste per lavoratore e una spesa di 5.473 euro ad azienda per ogni addetto.

Lavoro: 200mila le assunzioni in meno nel 2020

I settori che hanno maggiormente richiesto aiuto allo Stato sono i servizi di alloggio e ristorazione, con 17.400 domande presentate (il 53% del totale). Pure il commercio boccheggia: lo dicono ben 19.600 richieste. Le attività tecniche e professionali ne hanno presentate 7.900, la sanità e l’assistenza 5.800. L’agricoltura sembra uno dei comparti meno colpiti, con 1.142 procedure in corso. Reggono le attività immobiliari –2.400 richieste –, l’edilizia e l’impiantistica pure, con 795. In provincia di Cuneo sono state 9.061 le procedure di cassa integrazione e 2,9 in media i lavoratori coinvolti per azienda richiedente, per una media pro capite di 708 ore lavorative e una spesa media stimata di 5.735 euro.
Le vere emergenze risultano però sul fronte delle assunzioni. Tra gennaio e ottobre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, per circa 2.900 professioni si registrano 200mila impieghi in meno, passando da 700mila a 500mila. La variazione è negativa per circa il 28%. Significa che altrettante persone sono rimaste senza impiego.

Nel mercato del lavoro piemontese del 2020 la professione più richiesta è stata il bracciante agricolo (con 4.500 assunzioni), poi l’infermiere (888) seguiti dall’addetto alle attività organizzative delle vendite (748). Le tre attività più colpite sono state l’insegnante elementare (-4.897 assunzioni), l’attore (-3.696), gli addetti al banco e ai servizi di ristorazione (-3.008). Anche gli insegnanti di scuola materna e i bidelli registrano 2.700 chiamate in meno.

Alla contrazione delle possibilità occupazionali si aggiunge anche il perdurare di stereotipi e iniquità sociali. Nei 10 mesi considerati del 2020, nove fra le 10 professioni più colpite dal decremento occupazionale vedono perdere più velocemente lavoro le donne rispetto agli uomini. Ancora una volta, le differenze di genere si agitano nel mondo occupazionale, costringendo il gentil sesso a faticare di più per affermarsi e proteggersi durante i momenti di turbolenza.

Valerio Mo

Export e produzione in calo

«L’azienda in cui lavoro, una cantina vitivinicola, mi ha detto che, probabilmente, a fine anno mi lascerà a casa», racconta Roberto. L’uomo ha 37 anni e vive ad Alba. «È una piccola impresa: a causa della pandemia è rimasto solo l’export a sostenere le vendite, mentre sono venute meno le visite dei turisti. Mi fa arrabbiare sapere, però, che il mio datore di lavoro ha in banca molti soldi. Potrebbe aiutarmi per questi mesi, pagarmi lo stipendio. Non se ne accorgerebbe nemmeno. Purtroppo il mondo non funziona in questo modo. Siamo sempre noi a rimetterci, non certamente loro».

L’esperienza di Roberto rappresenta una vicenda che inizia su livelli impersonali, fatti di numeri e mercati. «Questa situazione, però, non mi abbatte. Mi sprona a uscire dagli schemi tradizionali, a inventare nuovi percorsi. Abbiamo ereditato un mondo iniquo: è importante usare questo momento storico per reinventarlo», conclude, fiducioso, Roberto.

Alcuni indicatori descrittivi della crisi dipinta dal nostro interlocutore sono contenuti nel Dossier socioeconomico appena pubblicato dalla fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, che lo ha presentato venerdì scorso: nel rapporto emerge come nel primo semestre del 2020 l’export piemontese abbia registrato una flessione del 21,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, fortemente condizionato dagli effetti della pandemia. Tuttavia, il Piemonte si conferma, con un valore pari a 18,7 miliardi, la quarta area esportatrice italiana.

La performance negativa ha interessato tutti i settori, a eccezione di quello alimentare, il solo che sembra essere stato risparmiato dal lockdown, visto che i negozi di generi di prima necessità erano tra i pochi a essere aperti. La crescita del comparto alimentare nel primo semestre dell’anno è stata pari al +1,9% rispetto all’analogo periodo 2019.

Anche la provincia di Cuneo evidenzia una contrazione dell’export generale pari al 13,9% rispetto ai primi sei mesi del 2019. Con un valore delle esportazioni pari a 3.459 milioni di euro, la Granda si conferma comunque la seconda provincia esportatrice del Piemonte, dopo Torino, grazie ai vini che pure cedono quote di mercato, come spieghiamo anche a pag. 54. A Cuneo però si riscontra una variazione negativa nella filiera dell’industria alimentare (-0,4% rispetto all’analogo periodo del 2019), che dunque non viene risparmiata dalla pandemia.

Il crollo produttivo piemontese è ben più ingente per l’industria manifatturiera, che registra una contrazione del 15,3% su base annua, quasi triplicata rispetto al trimestre precedente (quando era pari al -5,7%). In provincia di Cuneo risulta quasi analogo l’andamento della produzione industriale, che si contrae del 13,3% rispetto allo scorso anno. La situazione di criticità si individua in tutti gli indicatori congiunturali e il comparto in maggiore contrazione risulta essere quello del tessile-abbigliamento-calzature, seguito dalle industrie metalmeccaniche e manifatturiere.

Questi dati si traducono in forti difficoltà sul fronte occupazionale: i contratti in scadenza rischiano di non essere rinnovati, la precarietà potrebbe aumentare, le retribuzioni e le facilitazioni contrattuali indebolirsi.

La disoccupazione si attesta nella Granda su livelli relativamente bassi, ma già nel 2019 (raggiungendo il 4,8%) risultava in peggioramento rispetto all’anno precedente (4,3%). Il rischio è che questi numeri possano ancora peggiorare, generando centinaia di persone prive di una posizione lavorativa stabile e di introiti economici sufficienti.

Valerio Mo

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