Montà: il racconto di un volontario della Cri sulle navi-quarantena

Montà: il racconto di un volontario della Cri sulle navi-quarantena

SOLIDARIETÀ Da ormai diversi mesi i migranti che sbarcano in Italia vengono smistati sulle navi-quarantena. Questa scelta, promossa dal Ministero dell’interno, è stata fatta per evitare che i portatori di Covid-19, inevitabilmente presenti anche tra gli immigrati, possano essere vettori di contagio sul territorio nazionale. Accogliendoli su queste imbarcazioni della società Grandi navi veloci si tenta di garantire la sicurezza di tutti, visto che vengono sbarcati solo quelli negativi. A prendersi cura dei migranti ci sono i volontari della Croce rossa e tra loro anche un rappresentante della sezione montatese, Alessio La Tona. Lo abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda.

Alessio, raccontaci la tua esperienza.
«Sono stato a bordo della nave Rhapsody, la più grande di quelle utilizzate, con dodici ponti e una capienza potenziale di più di mille passeggeri. Essendo di stazza maggiore, era quella con più ospiti a bordo, ma anche, per assurdo, quella con meno personale in servizio. Eravamo in 27 (quasi tutti volontari, più alcuni dipendenti come il capo missione o il responsabile della logistica) a occuparci della gestione di 850 migranti, di cui 20 positivi al Covid-19. In pochi, i turni erano serrati e molto duri. Nei momenti di riposo non facevamo altro che tentare di risolvere problemi organizzativi e gestionali per poter svolgere al meglio le otto ore di lavoro successive».

Montà: il racconto di un volontario della Cri sulle navi-quarantena 2

 

Di cosa ti occupavi in particolare?
«I compiti erano tanti, dall’accoglienza al censimento dei passeggeri fino all’assegnazione degli alloggi. Senza dimenticare il controllo del rispetto delle regole di bordo: indossare la mascherina, lavare le mani, mantenere il distanziamento sociale e non andare da un ponte all’altro. In particolare io ho seguito le attività di Rfl (Restoring family links) e di ricerca delle vulnerabilità: tentavo di mettere in contatto le persone con la propria famiglia, che non vedevano da anni e non sentivano da prima dell’inizio della traversata. Provavo anche a ricongiungere chi era stato separato durante la traversata o nell’hotspot e facevo colloqui individuali con i soggetti più vulnerabili. Quest’ultima attività serviva per stilare una relazione che accompagnasse e rafforzasse la richiesta di protezione umanitaria. Ovviamente, però, il compito più faticoso era quello di assistere i positivi, sia per i lunghi processi di vestizione che per il disagio che si provava a stare così bardati per ore. Era un lavoro estremamente delicato perché le persone che trattavamo erano quelle più fragili e bisognose: alcuni sono rimasti bloccati per più di un mese perché non si negativizzavano».

Cosa ti è rimasto di questa esperienza?
«Tanto. Tutto è stato arricchente e insieme faticoso. Ho conosciuto uno spaccato di mondo di cui ignoravo l’esistenza e, nello stesso tempo, ho vissuto momenti difficili assistendo a rivolte e a gesti di disperazione incredibili, come tuffi dalla nave, ingestione di gel per le mani, di candeggina e degli oggetti più disparati, tutto per la paura di essere rimpatriati. Non sono mancati i momenti di sconforto, come quando abbiamo scoperto che il responsabile dell’attentato terroristico del 29 ottobre a Nizza era stato tra i passeggeri della Rhapsody, ma quello che mi ha più impressionato e motivato sono le storie dei ragazzi e dei bambini che sono arrivati fin qui. Le loro vicissitudini sono incredibili e mi hanno colpito anche perché ho due fratelli di quell’età a cui non augurerei mai nulla di simile. Comunque, il mio bilancio finale è assolutamente positivo. Se dovessi riavere la possibilità di tornare, non esiterei a imbarcarmi di nuovo».

Alessio La Tona è di Cellarengo (Asti), ha 23 anni e frequenta il quinto anno di medicina. Studia a Torino e, oltre a mamma Roberta e papà Giuseppe, ha due fratelli, Stefano e Aurora, di 15 e 13 anni. «Conosco l’inglese e per hobby studio giapponese. Credo molto nel volontariato, tant’è che appena ho compiuto 18 anni sono entrato nella Croce rossa. Nel 2017 sono diventato istruttore e da allora vado spesso nelle scuole a fare i corsi di primo soccorso agli alunni. Di recente sono stato ad Alba e Magliano Alfieri».
Prosegue Alessio: «Nel 2014, a Chieri, ho aiutato diversi bambini che non potevano permettersi di pagare il doposcuola e adesso collaboro con un’associazione di Torino che si chiama Speak. Insegno inglese e italiano e con loro condivido l’obiettivo sociale di promuovere l’apprendimento delle lingue e l’incontro di culture diverse».

In coerenza con il suo spirito solidale, Alessio si è imbarcato in risposta a un appello della Croce rossa piemontese. «L’idea di andare a fare qualcosa che aiutasse concretamente il prossimo è stata quella che mi ha fatto decidere di partire. Anche se, a dire il vero, è stata una cosa più viscerale che pensata. Sentivo di voler andare e di poter dare una mano e ho subito chiamato: ho letto il messaggio il 27 settembre, il 5 ottobre ero sulla nave».

Andrea Audisio

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