Vaccini per il Mondo e le frontiere dell’Unione Europea

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo

UNIONE EUROPEA I ripetuti incidenti sanitari riferiti al vaccino Astrazeneca rischiano di far dimenticare la decisione di Mario Draghi di bloccare l’esportazione di una ridotta quantità di vaccini dall’Italia verso l’Australia, come di altri nell’Ue verso altre destinazioni. In questa vicenda molto sensibile che vede in gioco salute, economia, frontiere e solidarietà internazionale siamo di fronte a un precedente che ha suscitato reazioni diverse: comprensibilmente un coro di elogi in Italia, opposizione compresa, un tardivo apprezzamento nell’Unione Europea, le rimostranze del Regno Unito, il rammarico dell’Australia senza troppe proteste e un significativo imbarazzo tra non pochi commentatori.

Prima di valutare le ragioni degli uni e degli altri è opportuno richiamare il contesto in cui si è collocata la decisione italiana. La gravità della pandemia in Italia e in Europa (senza paragoni con i numeri dell’Australia) e i ritardi generalizzati delle forniture europee dei vaccini sono alla base di un regolamento sottoscritto a livello europeo per controllare le uscite di vaccini dalle frontiere dell’Ue, sottoponendone l’esportazione all’autorizzazione della Commissione europea, per proteggere la salute dei cittadini europei e per contrastare possibili abusi negli scambi commerciali da parte del complesso farmaceutico di Big pharma, in infrazione alle intese sottoscritte con l’Ue.

Già si era verificato un primo blocco settimane fa per lo scambio di vaccini tra Ue e Irlanda del nord, un incidente frettolosamente messo sul conto di Brexit, ma che già preannunciava altri problemi in vista.

Tre le motivazioni invocate dall’Italia: la decisione era conforme al regolamento europeo, era una risposta al mancato rispetto dei contratti con la produttrice di vaccini AstraZeneca e riguardava l’esportazione verso un Paese “non vulnerabile”, come l’Australia. Ma non sfugge a nessuno che la decisione italiana richiama l’attenzione sulla libertà degli scambi e il ruolo delle frontiere.

Già sul versante economico e commerciale la decisione presta il fianco a non poche perplessità: mentre gli Usa, che stanno lasciandosi alle spalle “Prima l’America” e raffreddando la tensione sui dazi con l’Ue, bloccano anche loro l’esportazione dei vaccini (salvo quelli in eccedenza),  preoccupa veder emergere  la tentazione di “Prima l’Europa”, non tanto per il caso australiano, ma molto di più per il rischio di chiusura alle molte persone vulnerabili nel mondo.

È comprensibile aver opposto l’emergenza sanitaria europea al mancato rispetto dei contratti da parte di Big pharma: una reazione tardiva e colpevole, tanto da parte dei governi Ue che della Commissione. Ma anche una reazione che, se si fosse coerenti, dovrebbe proseguire mirando alla deroga della proprietà dei brevetti, operazione consentita dai trattati internazionali, ma che per essere realizzata richiede un ampio consenso a livello mondiale.

Ed è guardando all’orizzonte mondiale che bisogna lavorare per una soluzione duratura in risposta a una pandemia destinata a durare nel tempo, coinvolgendo tutto il pianeta, se si vuole contrastare efficacemente un virus che non conosce frontiere.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Per andare in questa direzione non devono prevalere miopi considerazioni economiche e nemmeno la sola ricerca del consenso degli elettori, con il rischio di “chiudersi in casa nostra”, sostenuti con entusiasmo da quelli di “Prima l’Italia”.

È necessario un soprassalto etico, come sarebbe coerente se davvero si considera questo genere di vaccini salva-vita come un “bene comune” per tutti, non solo per gli italiani e nemmeno solo per gli europei.

Ricordandosi di quanto rispose Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomelite, a chi gli chiese perché si rifiutava di brevettarlo: “perché voi brevettereste il sole?”.

Franco Chittolina

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