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Al Centro accoglienza di via Pola il salone ritorna zeppo di giovani stagionali

ALBA Le scarpe davanti all’ingresso, sporche della terra secca di luglio, sono il segno di chi ha passato ore e ore tra le colline. I materassi sul pavimento, i borsoni, le coperte ammassate e i vestiti stesi su appendini improvvisati sono pezzi di vita di chi non ha un tetto. In via Pola, dove si trova il Centro di prima accoglienza gestito dalla Caritas, i lavoratori stagionali delle vigne cominciano ad arrivare dopo le 18. Era fine maggio quando hanno cominciato a bussare i primi, quasi tutti provenienti dall’Africa subsahariana. Dato che il dormitorio era pieno, si era scelto di accoglierli in un salone adiacente.

Al Centro accoglienza di via Pola il salone ritorna zeppo di giovani stagionali

ettimana dopo settimana, la maggior parte ha lasciato la città o trovato una sistemazione altrove. Ma da una decina di giorni il salone d’emergenza è tornato a riempirsi. Quando rientrano dopo la giornata di lavoro, il sole estivo brucia ancora sulla loro pelle bruna. Dentro fa caldo e si cerca un po’ di respiro in cortile. C’è chi è troppo stanco: crolla sul materasso, prima della doccia e della cena. Il clima è pesante, per il caldo e per una situazione impossibile da considerare dignitosa.

«Non pensavo che in Italia i lavoratori si trattassero in questo modo», dice uno dei giovani. Sì, perché di persone si tratta. Sono loro le nuove braccia dell’agricoltura Unesco, di cui c’è bisogno tra le colline dei grandi vini. Sono originari della Guinea, del Gambia, del Mali, tra gli altri Paesi. Non sono stanziali, ma si spostano seguendo l’andamento delle colture, da Nord a Sud e viceversa. A muoverli sono il passaparola o meccanismi di reclutamento a volte non chiari.

Don Gigi Alessandria, direttore del Centro di prima accoglienza, vigila sulla situazione. Ci vuole ben altro per allarmarlo, perché il fenomeno migratorio lo vede da sempre: «Quest’anno, da maggio, il flusso di stagionali non si è mai fermato. C’è chi se ne va e molti che arrivano. Certo, è una situazione di emergenza. Non si può pensare di andare avanti così», dice.

In questo momento, sono almeno venti gli immigrati accampati in via Pola. «La questione è complessa da gestire. Ho partecipato ad alcuni incontri e so che il Comune si sta muovendo, ma temo che non si farà qualcosa nell’immediato. Forse, bisognerà aspettare settembre, ma abbiamo bisogno d’aiuto adesso: se qualcuno vuole darci una mano, la nostra porta è sempre aperta», chiosa il sacerdote.

Il tema dell’accoglienza è strettamente collegato alla regolarità del lavoro. Ma, se si chiede ai giovani africani di via Pola chi sono i loro datori, sono evasivi. Arca Maria Sgarro, arrivata ad Alba a ottobre scorso per il progetto “Presidio” della Caritas, li ha già incontrati più volte: «In questo momento, stanno tutti lavorando nei vigneti, a parte qualcuno che sta ancora cercando occupazione. Visto che non ci sono i grandi numeri della vendemmia, spesso le cooperative vengono a prelevarli in auto, per portarli in varie zone delle Langhe e del Roero, fino all’Astigiano. Ci risulta che alcuni siano senza contratto e almeno uno sta lavorando per la stessa cooperativa che lo scorso anno si è rifiutata di pagare nove lavoratori, anche in questo caso in nero».
Il Consorzio di tutela del Barolo ha siglato mesi fa con Confcooperative Cuneo, oltre che con i sindacati, un protocollo per l’accoglienza degli stagionali, un modo per sensibilizzare le aziende sul tema, mettendo al primo posto la dignità delle persone. Ma, come dice la giovane operatrice Caritas, «il problema non sono le cooperative note, che si muovono alla luce del sole, ma tutte quelle realtà quasi invisibili, che continuano ad agire come se niente fosse. E, ancora prima, il problema sono le aziende che si rivolgono a loro per trovare manodopera, alimentando il sistema».

Francesca Pinaffo

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