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Sarà benedetta e collocata in San Giuseppe  l’icona di Ceron sulla Famiglia di Nazareth

ALBA Sabato 24 luglio sarà presentata e benedetta, nella chiesa albese di San Giuseppe, l’icona della Famiglia di Nazareth, opera realizzata dal pittore brasiliano Sergio Ceron di origini italiane. La cerimonia sarà alle ore 16.30, con la presenza del vescovo Marco Brunetti. L’iniziativa è stata avviata il 16 maggio scorso in duomo, in occasione dell’apertura dell’Anno della famiglia Amoris laetitia, con il mandato a 60 coppie della diocesi.

Sarà benedetta e collocata in San Giuseppe  l’icona di Ceron sulla Famiglia di Nazareth 1

L’icona è ambientata con sullo sfondo la cattedrale albese di San Lorenzo, «presa nelle sue linee essenziali, è dipinta con colori caldi, arrivando al rosso, per ricordare che questa costruzione è il luogo dell’amore, dell’amore divino manifestato in Gesù Cristo», commenta lo stesso pittore Ceron, mentre le tre figure della Famiglia di Nazareth «sono presentate non in una scena familiare», ma si vuole far emergere il «mistero del quale sono testimoni».


Descrizione della tavola della Famiglia di Nazareth

Sarà benedetta e collocata in San Giuseppe  l’icona di Ceron sulla Famiglia di Nazareth

Lo sfondo è diviso in fasce, come nei codici miniati medievali (come quello di Beatus). Anche nella pittura monumentale si usava dividere in questo modo;

La cattedrale: presa nelle sue linee essenziali, è dipinta con colori caldi, arrivando al rosso, per ricordare che questa costruzione è il luogo dell’amore, dell’amore divino manifestato in Gesù Cristo;

Le tre figure, la Famiglia di Nazareth: sono presentati non in una scena familiare, con accento ai valori sentimentali ma, oltre questo, fa vedere le loro figure a partire dal mistero del quale sono testimoni. Esiste un “silenzio del sentimento” per poter dar spazio a quello che veramente importa: la salvezza compiuta dalla discesa e glorificazione del Verbo di Dio.

In questo modo, il Cristo adolescente è presentato con la dignità di un adulto e guarda l’osservatore, portando sulla sinistra il libro (simbolo di Lui stesso, perché è la Parola e il senso della Scrittura, come rivela l’Apocalisse); il suo manto è rosso, come il rosso che esiste nel duomo e sua collocazione centrale dice del camino verticale aperto dalla sua Incarnazione; oltre questo, stando al centro, coincide con la porta centrale del duomo, perché “Lui stesso è la porta”.

Maria compie due gesti importanti: guardando l’osservatore, con una mano indica il suo divino figlio, salvezze del mondo e con l’altra tocca il suo cuore, come dice s. Luca 2,51: “Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”; Maria è figura della Chiesa, perché ha vissuto in silenzio tutto quello che la Chiesa vive oggi apertamente (mentre Maria dà alla luce il Capo, la Chiesa dà alla luce le membra, e tante altre somiglianze si potrebbero trovare).

Se Maria è figura della Chiesa, Giuseppe è figura dei vescovi e dei sacerdoti (come testimoniano i padri dei primi secoli, e come sta stampato nei mosaici dell’arco trionfale di S. Maria Maggiore), perché il suo ruolo riguardo a Cristo e Maria, ricorda quello dei vescovi e dei sacerdoti in relazione alle loro chiese particolari; il gesto delle braccia aperte parla di protezione, di benedizione verso il Cristo e Maria; La sua dignità si mostra nelle sue vesti ebraiche (il kippah e il tallit), che manifestano la sua fedeltà a Dio e alla legge; i suoi piedi nudi mostrano sua povertà, umiltà e purezza di cuore.

La fascia di cielo stellato e la stella di sei punte: il cielo visibile con le stelle ricorda quello invisibile, dimora di Dio; in questo si contempla una grande stella di 6 punte, simbolo del Cristo stesso e del suo potere (per questo coincide con la linea verticale disegnata da Gesù); il numero 6 rimette al monogramma di Cristo, anello di congiunzione delle due prime lettere del nome Christos in greco (chi e ro), formando un motivo a 6 punte.

L’aspetto delle figure: è bello ricordare la delicatezza delle espressioni dei tre personaggi, con occhi grandi e bocche piccole, come si trova nell’arte sacra della Chiesa indivisa: per rappresentare il divino, il cammino non è stato quello del naturalismo, ma della ricerca di un tipo di immagine che stilizza, che usa simboli per parlare di Dio e del mondo spirituale. La forma di usare i colori: la luce immateriale dell’oro, luce che appare come se uscisse dalle figure stesse e non dall’esterno, l’assenza di prospettiva, sono forme di mostrare il cielo. Per questo, al guardare i tre personaggi, bisogna farlo con gli occhi interiori, provando a vedere che presentano un equilibrio di sentimento, una serenità, un sorriso non aperto, ma contenuto, discreto, che esalta la loro santità.

Sergio Ceron

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