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Sogna mia cara anima: intervista al compositore Davide Cavuti

Sogna mia cara anima: intervista al compositore Davide Cavuti

INTERVISTA Il festival “Uto Ughi per i giovani”, organizzato dall’associazione Arturo Toscanini di Savigliano in collaborazione con la fondazione Ferrero, in otto date porterà, tra novembre e gennaio, grandi nomi della musica e della cultura tra Alba e Cherasco. Natascia Chiarlo, fondatrice dell’associazione con il fratello Ivan: «Il maestro Ughi crede molto nel progetto che, grazie soprattutto alla sua guida, assume un enorme rilievo culturale». Domenica 14 e martedì 16 novembre sarà lo stesso Ughi a inaugurare la manifestazione al teatro Sociale e alla fondazione Ferrero, accompagnato dall’orchestra e dalla pianista Elena Matteucci.

Domenica 21 novembre alle 21 il Giorgio Busca ospiterà Sogna mia cara anima, recital teatral-musicale con due grandi attori: Paola Gassman e Ugo Pagliai. Le musiche sono a cura di Davide Cavuti, compositore, musicista e regista che alla Mostra del cinema di Venezia ha presentato il suo ultimo lavoro, Un marziano di nome Ennio, sulla figura di Ennio Flaiano, in cui ha recitato anche Paola Gassman.

 

Cavuti, cosa ci dobbiamo aspettare da Sogna mia cara anima?

«Lo spettacolo ha come leitmotiv la poesia senza tempo. L’idea è venuta a me, Paola e Ugo, con i quali collaboro dal 2003. Loro si occuperanno della parte recitata, mentre io suonerò la fisarmonica. Insieme a noi ci sarà il chitarrista Franco Finucci. Proporremo colonne sonore e musiche del Novecento scritte da autori come Morricone, Bacalov, Piovani, Cicognini e Piazzolla. In passato, con i primi tre ho avuto l’onore di collaborare. Miei sono i brani originali. Gassman e Pagliai reciteranno testi poetici di autori antichi e moderni. Sogna mia cara anima è un verso di Consolazione di Gabriele D’Annunzio, ma il pubblico ascolterà anche Ungaretti, Dante, Leopardi, Neruda e molti altri. Ennio Flaiano diceva che ogni libro andrebbe ripreso e riletto. Vogliamo, con lo spettacolo proposto, dare una spinta anche in questo senso, suscitare la curiosità di sfogliare i libri che magari abbiamo nello scaffale da sempre».

 

Che significato ha per lei essere stato invitato alla rassegna?

«Sono onorato del fatto che Uto Ughi, riconosciuto ovunque come uno dei migliori musicisti, mi abbia chiesto di fare la mia parte per la buona riuscita del festival. Ringrazio anche l’associazione Toscanini, che ha avuto l’idea di proporre un programma di qualità. Cercare di far avvicinare i giovani alla musica e alla cultura è un intento nobile, che anch’io mi prefiggo».

 

Quali iniziative vanno attuate per raggiungere tale scopo?

«I contenuti devono essere alti ma esposti con un tono leggero. Così facendo, si invitano i giovani a esplorare un mondo che, oggi, sembra li metta da parte. Bisogna trasmettere loro emozioni e sensibilità. Nella mia carriera ho realizzato tre lungometraggi che tentano di essere didattici e mostrare le opere di Ovidio, Cicognini, Croce, Silone e Flaiano. Necessitiamo che le nuove generazioni si nutrano di cultura, ma questa dev’essere proposta da professionisti, non da improvvisatori. Anche se non ancora esperti, i giovani capiscono subito se manca la professionalità. Quanto detto dagli autori del passato è, in molti casi, ancora attuale. Va incontrato un giusto mix tra contenuto e innovazione, ricollegando tutto con il presente: sforzandoci in questo senso riusciremo a ottenere dei risultati. La cultura deve procedere per piccoli passi, così come fa la scienza».

 

Teatri e cinema possono disporre della capienza intera. È un segnale positivo per la ripartenza?

«Il comparto culturale ha pagato un prezzo altissimo, usciamo dalla pandemia con grossi problemi economici. Diversamente da quanto affermato alcuni anni fa, con la cultura si mangia e si produce Pil. I teatri sono tra i luoghi più sicuri, non aveva senso lasciarli al cinquanta per cento della capienza e aprire interamente da altre parti. Sia chiaro, le regole vanno rispettate, ma i politici durante la pandemia non si sono resi conto dell’importanza del sistema culturale. Ci sono lavoratori, non solo sul palco ma anche dietro le quinte, che sono stati lasciati a piedi. La cultura, quella vera, fa bene all’anima e offre posti di lavoro».

Davide Barile

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