50 anni dalla lettera pastorale Camminare insieme del cardinale Michele Pellegrino

50 anni dalla lettera pastorale Camminare insieme del cardinale Michele Pellegrino

TORINO «Calmo, sereno, elegante, il cardinale arcivescovo di Torino si accomodò». Siamo in Questura, la notte in cui don Pezza, colpito come da una folgore durante la predica, saltò in aria. Fruttero e Lucentini evocano, in una scena esilarante ed efficace, Michele Pellegrino – fermato con gli altri presenti in chiesa e portato in corso Vinzaglio. Non riconosciuto dagli agenti viene messo in corridoio con gli altri, e scoperto tempo dopo dai due commissari, imbarazzati come scolaretti, che lo invitano ad accomodarsi nel loro ufficio…

È il Pellegrino studioso di letteratura cristiana antica, l’esperto di gnosi ed eresie, quello che viene richiamato in A che punto è la notte, il secondo grande giallo torinese che ha per protagonisti i «poteri forti» della città e le loro metamorfosi. Il cardinale è intrigante e popolare oltre ad essere, almeno nell’immaginario di F&L, chiaramente associabile ai poteri forti.

Eletto arcivescovo di Torino sull’onda del rinnovamento conciliare, Pellegrino cresce come «personaggio pubblico» qualche anno dopo, con la lettera pastorale Camminare insieme, datata 8 dicembre 1971 ma disponibile dai primi di gennaio del 1972. Perché quella Lettera invece di rimanere, come sovente accade, un testo per addetti ai lavori, provoca da subito dibattiti e polemiche, fa lanciare accuse e scatenare pregiudizi. I giornali dell’opinione moderata interpretano il disagio di chi ritiene la «scelta preferenziale per i poveri» una diminuzione della missione universale della Chiesa. A sinistra un giornalista come Diego Novelli (diventerà sindaco nel 1975) intuisce la grande novità e costruisce un libro – inchiesta, Genesi di una lettera pastorale, che costituisce un approccio nuovo, per la cultura comunista, al «mondo cattolico».

È il metodo la prima grande novità della Camminare insieme. All’inizio della lettera Pellegrino stesso ricorda che dalla riunione congiunta dei consigli diocesani è venuta la richiesta all’arcivescovo di proporre un «programma d’azione che traduca in linee operative il risultato delle consultazioni condotte per vari mesi in numerosi gruppi e già prese in esame nel convegno ora menzionato» (Ci, 1). Un metodo che il cardinale fa risalire a precise indicazioni di papa Paolo VI contenute nella Octogesima adveniens. E proprio il fatto che la lettera nasca dai contributi di una lunga e vasta consultazione garantisce, dice ancora il cardinale, un «consenso di base» al programma stesso. È, insomma, un «metodo sinodale» ricalcato poi nei progetti della Chiesa italiana e, al momento, da papa Francesco.

Per altro il cardinale ha ben chiari i confini e i limiti di questo metodo: «È proprio necessario dichiarare che il vescovo, mentre ascolta con attenzione e con gratitudine quanti lo aiutano esprimendo suggerimenti, critiche, proposte, ritiene suo dovere conservare la libertà di giudizio e di decisione che è richiesta dalla sua missione di pastore, di ministro di Cristo e di testimone del Vangelo?» (Ci, 3).

Nello «sguardo» alla situazione sociale (§ 7) emerge, prima e più della condizione operaia, la chiara consapevolezza che il cosiddetto «primato dell’economia»… non è il Vangelo. Scrive Pellegrino: «È facile appellarsi a leggi economiche come se le leggi economiche fossero assolutamente immodificabili dall’intervento dell’uomo, come se l’uomo che può salire sulla luna fosse legato senza rimedio a quelle leggi economiche o dette tali che portano all’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo. Il Concilio ammonisce che ‘l’attività economica è da realizzare secondo le leggi e i metodi propri dell’economia, ma nell’ambito dell’ordine morale, in modo che così risponda al disegno di Dio sull’uomo’» (Ci, 7; e si fa riferimento a Gaudium et spes, 64).

È in questa prospettiva che la «povertà» si presenta non come carenza del necessario ma capacità di «non riporre la speranza nei beni»: poiché la speranza va cercata nella vita di Cristo. Appare persino superfluo sottolineare l’attualità di questa prospettiva anche per il nostro oggi, che sembra (sembra!) tutto fatto di black friday, in adorazione della trottola del commercio mondiale che farebbe da motore all’intero universo. Si risente anche, nella lettura maturata da Pellegrino, quel clima di «mondialità» che caratterizzò una stagione fondamentale nella vita della Chiesa. Una stagione in cui l’autoreferenzialità dell’Occidente non era «globale», ma anzi ci si sentiva chiamati al confronto – e all’incontro – con le altre culture, con gli altri popoli. È il tema di riflessioni come quelle che Albert Tévoédjré, uno dei leader della «negritudine», sviluppa in libri come La povertà ricchezza dei popoli (Emi, 1985). E c’è di più: «La denuncia del peccato e delle situazioni di palese ingiustizia dovrà essere confermata dalla testimonianza personale di giustizia e di solidarietà» (Ci, 10). Non sarebbero bastati, in allora, i leoni da tastiera, e forse nemmeno i flashmob e le carriere televisive degli opinionisti.

La riflessione sulla condizione operaia è accompagnata, fin da subito, dal richiamo a non dimenticare altre situazioni di grande difficoltà esistenziale, altre «categorie» di persone emarginate. Si parla di immigrati, di gente che non ha accesso né ai diritti né alla parola… (Ci, 12).

È questo il contesto dei «doveri della libertà», da esercitare secondo coscienza, perché la completezza della libertà non si trova solamente nel vivere «liberi» dai beni e dalle ricchezze – questo tipo di libertà è semmai la condizione preliminare. È nella comunione e nel pluralismo che la libertà cristiana gioca le proprie carte (Ci, 19).

Nella catena di pensiero costruita dal cardinale intorno ai tre «pilastri» della lettera la stessa libertà è condizione per un esercizio pieno della fraternità, e dunque della comunione nella vita dei credenti e dell’impegno di ogni uomo a superare le divisioni, a riconoscersi come «fratello» dell’umanità intera.

Rileggendo la Lettera nel suo insieme emerge poi un elemento che sfugge alle letture più «orientate» in senso sociale, economico, politico. E appare invece che i solidi fondamenti nella Scrittura, nei Padri e nel Concilio sono la vera forza della lettera, e la ragione della sua durata nel tempo, della sua «attualità». L’analisi appassionata e minuziosa della realtà sociale torinese degli anni ’70 viene inserita nella prospettiva, di ben maggiore respiro, della vita della Chiesa, nella storia come nel presente. Per questo è possibile continuare a cogliere nella Camminare insieme spunti e letture di grande attualità per l’oggi. Lo ha fatto di recente il successore di Pellegrino, Cesare Nosiglia: «È significativo – ha osservato il 20 novembre scorso, nell’incontro con imprese e lavoratori al Santo volto – che ci ritroviamo negli stessi giorni in cui, 50 anni fa, il mio predecessore cardinale Michele Pellegrino pubblicò la lettera pastorale Camminare insieme. Quel documento segna definitivamente la ‘scelta preferenziale per i poveri’ della Chiesa torinese. I poveri allora erano individuati soprattutto negli operai; in questi anni abbiamo scoperto che i cammini della miseria si sono articolati e diversificati; e la Chiesa ha cercato in ogni modo di continuare ad essere presente a fianco delle persone – delle loro angosce come delle loro sperane».

Marco Bonatti,
Agenzia giornali diocesani Piemonte

 

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